Il brigante Cinicchia e l’assassinio di Cesare Bellini

Categorie: Assisi

“Signor Giudice, Signori della Corte, siete oggi qui per decidere se l’imputato Nazzareno Guglielmi, conosciuto con il soprannome di Cinicchia, il 21 ottobre 1863 abbia o no ferocemente assassinato il capitano della Guardia Nazionale di Valfabbrica Cesare Bellini.

Brigante Cinicchia AssisiRibadisco che il vostro compito è di giudicare se il crimine sopracitato possa essere ascrivibile all’imputato e non è un processo all’integrità dei principi del Guglielmi medesimo. Conoscete la reputazione di quello che, a detta di molti, è il più feroce brigante del territorio assisiate nel periodo tra Papato e Regno d’Italia. A distanza di un secolo e mezzo, sapete bene come le vicende da lui vissute siano arrivate a noi in un misto di realtà e mito e come le voci sul suo conto siano fortemente contrastanti. Ricordiamo alcuni appellativi attribuiti all’imputato nei documenti ufficiali delle forze dell’ordine: «criminale, autore di gravi delitti, malvivente, ardimentoso, crudele, capace di esplodere le armi senza provocazione, masnadiere, assassino, autore di misfatti, ostentatore di audacia, spargitore di terrore, impunemente baldanzoso, dagli istinti feroci e crudelissimi, iena, iroso, fratricida». Con altrettanta frequenza, però, il Cinicchia è descritto dai suoi estimatori come: «brigante sociale, riparatore dei torti subiti dalla povera gente, Robin Hood assisano, eroe, vendicatore».

Gli episodi che lo riguardano hanno spesso due o più versioni. Menzioniamo solamente la sua impresa più eclatante: l’assalto dell’ottobre 1864 alla diligenza dell’Impresa Jork, appaltatrice del tratto ferroviario Foligno-Ancona. In funzione del narratore scopriamo che il “famoso” furto avvenne: a Capranica, tra Morano e Montecchio, a Valtopina o a Ponte Centesimo. Parlando del Guglielmi le fonti non sono concordi su nulla, neppure sul mestiere di cui si occupava prima di diventare brigante. Faceva l’artigiano del rame (sono attribuiti a lui alcuni lavori iconografici di chiese dell’Umbria), era bracciante agricolo, giardiniere o muratore?
Con questi presupposti l’impresa che avete da compiere oggi diventa quasi proibitiva! Avete bisogno, perciò, di testimonianze attendibili e possibilmente non faziose; ma c’è qualcosa di oggettivo in questo caso spinoso che dopo 150 anni non ha ancora un colpevole? A nostro parere, il solo punto fermo nelle decine di deposizioni raccolte è la dichiarazione dell’unico testimone oculare: Giulio, figlio del defunto. Nella testimonianza, redatta dall’ufficiale del tribunale di Perugia il 22 Ottobre, il bambino descrisse i malviventi che vide la sera prima nella triste circostanza della morte del padre: “…uno era di statura piuttosto bassa, di corporatura snella, aveva tutta barba nera, carnagione bruna, sull’apparente età di trentacinque in quarantanni; vestiva giacca e calzoni di lazzo color marrone con in capo un cappello nero a larghe tese e coppola piana e lo portava molto piegato sulla fronte.
…baffetti a mosca rossi ed era più alto e snello dell’altro, della stessa apparente età, vestito con grossa giacca e con cappello a cuppola aguzza, ordinò di tirare la prima volta addosso a mio padre…”
Sembrano o no le descrizioni del Cinicchia e del suo luogotenente Luigi Maccabei? Dalle ricerche effettuate da Valter Corelli e dall’Istituto Etnologico di Perugia risulta che: Luigi Maccabei “portava i baffetti all’insù e spesso indossava un cappello a falde larghe” e Cinicchia “non era molto alto, aveva le sopracciglia grosse, la barba e una cicatrice vicino all’occhio sinistro”.

Processo brigante Cinicchia

Illustrazione che accompagna l’articolo (di Marco Bargagna, alias Misterbad)

Rileggete il testo della deposizione e ragionate bene su ogni parola. C’è qualcosa che non torna? Cinicchia era spavaldo nelle sue grassazioni, anche per questo divenne così famoso; addirittura spesso scherniva le forze dell’ordine e, secondo le cronache locali, si presentava irriverentemente a viso scoperto per incutere ancora più terrore nelle persone che lo riconoscevano. Credo che soprattutto in quest’occasione la scelta di farsi vedere dal Bellini prima di ucciderlo, invece di nascondersi, sarebbe stata un comportamento “da Cinicchia”. E se, al contrario, fosse tutta una messa in scena per incolpare proprio l’imputato? Un uomo di media corporatura, di statura piccola e con il viso coperto poteva essere benissimo scambiato per lui. Una caratteristica fisica metteva però in difficoltà l’eventuale simulatore. La cicatrice mancante avrebbe inchiodato la truffa, per un inganno era quindi preferibile il cappello sopra gli occhi anziché il fazzoletto sulla bocca.
Ecco poi un’altra contraddizione. Pensate che se io fossi un bandito senza scrupoli, il più feroce di tutti, ucciderei a sangue freddo il padre e non torcerei un capello al figlio? E’ possibile che il criminale in questione avesse agito così per disporre di un testimone oculare che raccontasse di aver visto proprio Cinicchia commettere il delitto?
Altre domande incombono. Perché progettare l’omicidio di Cesare Bellini e non, ad esempio, del conte Fiumi, comandante della guarnigione di Assisi e storico avversario del bandito Guglielmi? Fu il Fiumi, infatti, che osò incarcerare addirittura la moglie dell’imputato, famoso proprio per la sua gelosia. Cari Signori, il Cinicchia sapeva bene il limite oltre cui non spingersi mai! Quando aveva a che fare con personaggi in vista preferiva la diplomazia alla violenza, consigliato e spalleggiato com’era dall’avvocato Bianchi, uno dei più in vista di Perugia e presente appunto nel libro paga del Guglielmi (i maligni sostengono che era invece il bandito ad essere sul libro paga del Bianchi, ma questa è ancora un’altra storia). Per rimanere sulla piazza, Cinicchia sapeva tener basse le mire delle sue azioni. Assaltava mercanti e case benestanti; rubava: denari, gioielli, oggetti preziosi, tovaglie, capi di vestiario, biancheria; ogni colpo fruttava, secondo le occasioni, da poche decine di lire fino a qualche migliaio. Quando decise per il colpo grosso, appunto la rapina delle 150.000 lire in oro della ditta York, l’evento coincise con il suo ultimo misfatto e con la sua probabile fuga in Argentina.

Tomba di Cesare Bellini - ValfabbricaLapide commemorativa di Cesare Bellini - Valfabbrica

Sempre con la stessa filosofia, nelle sue azioni l’assassinio era l’ultimo rimedio possibile. Leggiamo a riguardo altre cronache locali: “…senza provocazione alcuna esplosero contro di loro le armi. Dai guasti e dai fori che si osservarono nel legno sembra che una scarica di più colpi venisse ad investirlo. Le esplosioni riuscirono inoffensive…” (Assalto al 54° Reggimento)
“…giunta verso le otto alla istanza di un miglio dal Borgo di Valtopina, e di sei miglia circa da questa città (Nocera Umbra) è stata assalita da dieci malandrini, che posti al disopra di un dirupo della strada tra certi macigni hanno fatto fuoco contro i Lanceri…in quel trambusto uno di essi è rimasto ferito ad un ginocchio…” (Rapina alla diligenza York)
In questi due episodi come in altre occasioni, stupisce il fatto che, con tutti quei banditi e quei colpi sparati, non ci fu alcun morto! I pistoleri avevano una mira così scadente?
Continuiamo, in una carrellata senza fine, con le prove indiziarie dell’innocenza del mio assistito: nel racconto di Giulio Bellini, il luogotenente del capo banda dà il comando dell’uccisione. Scusate, vi sembra verosimile? Cinicchia non avrebbe diffuso un tale terrore di sé se si fosse lasciato comandare da un subalterno o da qualsiasi altro individuo.
Senza dilungarmi, vi ricordo in ultimo come lo stesso Giulio, in un successivo interrogatorio, riconobbe l’uomo con i baffi come uno dei renitenti alla leva di Valfabbrica, privo di legami con l’imputato. Avete, quindi, a mio parere, tutti gli elementi per giudicare il Cinicchia che, pur avendo nella sua fedina penale una serie indicibile di presunte malefatte, è per noi estraneo a questo delitto, anzi, l’episodio è stato costruito ad arte per incolparlo e scagionare altri possibili nemici del Bellini, autori o mandanti di tale misfatto.
Ci rimettiamo alla decisione della Corte.

Con il ricordo del tuo “amato” Cinicchia vogliamo dedicare a te Valter un ultimo saluto.
Marco ed Emanuele

pubblicato su: Terrenostre (Settembre 2014)

Riguardo l'autore

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Ingegnere impegnato da anni nel campo dell’automazione industriale. Ama il suo lavoro ma al contempo è affascinato anche da: storia, tradizione e misteri della sua terra, l’Umbria. Collabora con alcune riviste e quotidiani e ha la profonda convinzione che il migliore investimento per il futuro sia la cultura, settore in cui l’Italia, per quanti sforzi possa fare, non sarà mai seconda a nessuno.

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