Il nostro territorio ha una forte propensione turistica, nel giro di poche decine di chilometri ci sono moltissime possibilità per trascorrere vacanze culturali e non, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si passa per Spello con i suoi resti romani, le vie scoscese che appaiono spettacolari nel periodo delle infiorate, la cappella Baglioni con i dipinti del Pinturicchio, i suoi negozi e ristoranti tipici. C’è Perugia, famosa fuori Umbria solo per la cioccolata, ha invece dei musei bellissimi: l’Ipogeo dei Volumi; il Museo Archeologico, purtroppo mai visitati da nessuno dei nostri ospiti; e la più famosa Galleria Nazionale con opere di Piero della Francesca, Pinturicchio, Perugino e Raffaello, lontani ricordi dei fasti del mecenatismo rinascimentale. Ci sono Bevagna e Montefalco con le rievocazioni storiche in costume, il vino e la buona tavola; Spoleto con il Duomo, la Rocca e l’impressionante Ponte delle Torri opera d’ingegneria idraulica romana rimasta intatta fino ad oggi; il lago Trasimeno con le sue isolette incontaminate e ristoranti con menù a base di pesce. La tappa però che tutti, ma dico tutti di ogni posizione geografica o nazionalità, non tralasciano è proprio Assisi. Il carisma, la misticità, il senso di pace e tranquillità che la città ha ereditato dal Santo Patrono d’Italia pervadono e restano nel visitatore come un profumo sulla pelle.
Lasciando stare la poesia e parlando invece di cose simpatiche: i turisti che vengono a trascorrere le vacanze da noi ad Armenzano sono prevalentemente italiani; gli stranieri in visita nella zona sono sempre molti ma si rivolgono ad altri canali di promozione e finiscono in strutture diverse. A volte ci capita con piacere di cogliere differenze di approccio tra vari tipi di visitatori italici, spesso e volentieri legato alla loro provenienza geografica. In un momento di globalizzazione in cui sembra che s’imponga a tutti di mangiare, di vestire e di comportarsi alla stessa maniera, apprezzare ancora diversità mi tranquillizza sul fatto che non siamo ancora diventati tutti «zombi».
Ogni turista di passaggio, che torna alla fine della giornata dal suo giro, affermerà di aver visitato tutto ciò che c’è da vedere ad Assisi, ma quel «tutto» cambia sostanzialmente da turista a turista. Noi, abitando qui, sappiamo che la città e le zone limitrofe non si riescono a visitare bene in un solo giorno. E’ divertente menzionare i due tipici opposti nazionalpopolari: da una parte c’è la famiglia «stacanovista» capeggiata dal maschio dominante. Lui si alza sempre molto presto, svegliando di conseguenza tutta la sua comitiva, fa una colazione leggera e, bardato di tutto punto con: cartina, guida turistica e macchina fotografica, è pronto per quella che sembra essere una scalata dell’Everest invece che una giornata di vacanza. La sera, al ritorno, il nostro uomo è raggiante, mentre moglie e figli celano, spesso non riuscendoci, una certa spossatezza. Non si può in ogni caso tornare in camera, occorre imprescindibilmente raccontare subito come si è trascorsa la giornata, e presto scopri che quel «tutto» cui accennavo, in questo caso è proprio tutto!
Alla nostra domanda canonica: “Che cosa avete visto di bello?”, loro rispondono: “Siamo stati ad Assisi e abbiamo visto: la chiesa di San Rufino, Santa Chiara, San Pietro, la piazza con la fontana, la Minerva, la chiesa Nuova, Santo Stefano, il museo del Foro, San Francesco; poi era presto, abbiamo mangiato un boccone e siamo andati alle chiese di San Damiano, Santa Maria degli Angeli e la Rocca, non potevamo perdercele, poi una capatina all’Eremo delle carceri e dritti a casa.”. La moglie, leggermente meno entusiasta di lui, ammette che sono andati un po’ veloci e non hanno approfondito la visita in tutti i singoli dettagli, ma l’importante è esserci stati!
Parliamo ora, dell’altro opposto italico: il tipico turista «dalle buone intenzioni». Egli spesso viaggia in compagnia di un piccolo gruppo di amici e parenti o viene a ricongiungersi ad alcuni conoscenti. Di mattina la sveglia non è quasi mai delle più tempestive, la colazione è spesso un branche più che un breakfast, e la comitiva al completo si riunisce solo tra le dieci e le undici; del resto sono in vacanza! Prima di partire chiede sempre moltissime informazioni sul luogo dove ha intenzione di andare, comprese le principali attrattive turistiche, dove parcheggiare e dove mangiare.
Al ritorno per la notte il gruppo appare visivamente sfiancato dall’impegno profuso; ci parlano del parcheggio che hanno trovato lontanissimo dal centro, dell’attesa al ristorante, delle salite e delle discese, e solo poi ti descrivono i posti che hanno visitato e scopri il loro «tutto».
“Abbiamo trascorso un fantastica giornata anche se molto stancante. Abbiamo visitato la chiesa di San Francesco, era bellissima! Poi si era fatto tardi e siamo tornati.”
“…?!”
Avevo anticipato che ognuno ha il suo «tutto»! Comunque lo si intenda, e anche quest’episodio simpatico lo dimostra, San Francesco è il motivo di visita di tutti quelli che arrivano dalle nostre parti. Ogni turista persino il più stanco non può tornare a casa senza aver visto l’«attrattiva» più nota, a ribadire, se ce ne fosse ulteriore bisogno, che l’Umbria è conosciuta prevalentemente per il Santo e tutto, a torto o a ragione, ruota intorno a lui.
Nel nostro viaggio nel tempo siamo arrivati proprio al periodo più importante della nostra storia, il momento in cui visse Francesco.
Da noi oggi soggiornano una coppia di signori anziani e una famigliola con figli al seguito. Dai discorsi capiamo che questi ultimi sono particolarmente euforici all’idea di poter incontrare di persona questo mistico personaggio e seguirne magari la predicazione e le vicende, quindi li lasciamo andare tranquillamente verso Assisi. Gli altri ospiti sono due naturalisti, in vacanza per godersi la pace e la natura del luogo e farsi qualche passeggiata. Va anche a me di fare un giretto verso il paese per vederne le trasformazioni avvenute nel Medioevo.
Nel capitolo precedente abbiamo lasciato la zona centrale dell’Umbria sotto il Ducato di Spoleto. Verso il Mille, un po’ tutte le città e in particolare Assisi cominciano a pretendere la propria libertà, risentendo l’influsso di un certo risveglio religioso e culturale che si diffonde rapidamente anche nel resto d’Italia. Molte aree della pianura sono impraticabili all’agricoltura, a causa dell’impaludamento, e le popolazioni preferiscono insediarsi nelle zone collinari e montane. Queste ultime sono spesso più popolate della valle anche grazie al fatto che risultano, per morfologia, più semplici da difendere dai nemici. Sono fondati chiese e monasteri, costruiti o fortificati i castelli, mentre la pianura è affidata alla paziente opera di bonifica dei monaci benedettini.
Dopo un periodo di guerre, nel 1174 Assisi è assediata e diviene dominio imperiale sotto Federico Barbarossa, che dà l’investitura della città al duca di Spoleto Corrado di Urslingen. Proprio Corrado finisce presto nell’occhio del ciclone quando Costanza d’Altavilla, moglie del nuovo imperatore Enrico di Svevia dà alla luce suo figlio Costantino proprio durante un viaggio di trasferimento nel feudo dell’Urslingen. I rapporti fra i coniugi sono tesi, Enrico pensa bene di relegare la moglie in Sicilia e di lasciare fino a nuovo ordine il figlio alle cure del duca e di sua moglie.
Lo strazio della madre colpisce però la sovrana del Ducato di Spoleto che non riesce a rimanere indifferente alla situazione, non potendo però far a meno di preoccuparsi per la propria incolumità e per la posizione della sua famiglia:
“Maestà, solo poche righe. Non posso fare di più. Le affido al vostro messaggero, a rischio della vita. Voi sapete bene che, se venisse scoperta, neppure mio marito potrebbe salvarmi dall’ira dell’imperatore. Per questo, vi supplico: non scrivetemi mai più. Mi vedrei costretta a denunciarvi, per proteggere me stessa e la mia famiglia. Il principino sta bene. E’ un bimbo forte e robusto. Cresce a vista d’occhio. Ma sente la vostra mancanza. Non saprei spiegarmi perché. Eppure, da madre, capisco che è così. Il bimbo intuisce che le braccia che lo stringono non sono più le vostre. Per questo, è spesso irascibile. A volte, piange fino alla disperazione. Per quello che posso, veglierò su di lui. Ma molto presto partirà per la Germania e non sarà più sotto il mio controllo. Se potete, maestà, impeditelo. Ho un brutto presentimento. Non so cosa sarà di lui, se dovessero portarlo via. Come mi avete chiesto, vi invio un segno del piccolo Federico.” (Russo, Carla Maria (2005) La Sposa Normanna)
Nel frattempo il padre ha deciso per lui anche un nuovo nome, in onore dell’illustre nonno; passerà quindi alla storia come: Federico II di Svevia. Prima di diventare uno dei più grandi imperatori medievali, quel bimbo, agnello tra i lupi, rimane presto senza padre. Enrico muore per un’infezione intestinale fulminante, durante una battuta di caccia. Cosa fare ora per impedire al pargolo di finire nelle grinfie dello zio Filippo? Accordarsi con la madre e consegnarlo a lei.
Il conte di Urslingen non rivelò a Filippo che la lettera inviatagli da Gualtiero di Paleria conteneva argomenti molto persuasivi per spingerlo a collaborare. Se Federico fosse stato riconsegnato sano e salvo nelle mani della regina, il conte e la contessa di Urslingen avrebbero potuto contare sul perdono della sovrana e continuare a vivere indisturbati nel feudo assegnato loro da Enrico. In caso contrario, si considerassero privati all’istante del titolo e banditi dal regno.
…un’ora soltanto aveva deciso la vita e il destino di Costantino Federico Ruggero, figlio amatissimo di Costanza d’Altavilla. (Russo, Carla Maria (2005) La Sposa Normanna)
Scampato un pericolo, un’altra tegola cade sulla testa di Corrado e nel 1198 deve assistere ad una serie di sommosse popolari. La rocca, come simbolo del potere svevo, è assediata e distrutta, episodio iniziale del percorso che condurrà all’epoca comunale. Sostituiti gli Svevi al comando, i cittadini di Assisi non possono ancora cantare vittoria, molti, infatti, pretendevano di rimpiazzare il potere vacante. Il territorio è infatti ambito da: l’appena eletto Papa Innocenzo III che da subito pretende un interessamento della Chiesa alla vicenda Urslingen, acquisendo formalmente il feudo da Corrado; una lega di città toscane formata proprio in quegli anni; la sempre più potente Perugia; e non ultimi i vicini signorotti delle zone limitrofe.
Sia nel diploma di Federico Barbarossa del 1160, che nella bolla di Innocenzo III del 1198, rivolte ad Assisi, Armenzano risulta far parte del «Comitatus Asisinatum».
Nel 1202, proprio durante una guerra con Perugia, Francesco di Bernardone è fatto prigioniero e tenuto in carcere per oltre un anno; dal 1206 dopo la sua conversione, si dedica alla vita religiosa attraverso l’aiuto ai poveri, vivendo in povertà egli stesso. Famosa è la sua rinuncia pubblica, nella piazza di Assisi, a tutti i beni del ricco genitore.
Come già accennato molte sono le difficoltà del nuovo governo dell’urbe. E’ particolarmente difficile convincere i cittadini a frenare i loro scismi sociali nell’interesse comunale, anche perché alle porte ci sono nemici assai più pericolosi. In un arbitrato tra le fazioni nel 1203 si attesta l’esistenza di un Comune capace di eseguire molte attività: assegnare terreni e case, costruirne di nuove, sequestrare proprietà dei traditori della causa comune, imporre multe, intentare processi contro i forestieri. E’ in questo frangente che l’autorità si accentra nella persona del podestà, figura che può essere rivestita anche da non nativi, e soppianta definitivamente il console a capo del Comune.
Assisi si mette in luce per la sua precoce desiderio di autonomia e
…vorrei mettere in evidenza la rapidità con cui gli assisani svilupparono le loro istituzioni politiche in un decennio di crisi durante la quale la sopravvivenza del comune come entità indipendente era continuamente in pericolo. (Assisi al tempo di san Francesco : atti del 5° Convegno internazionale : Assisi , 13-16 ottobre 1977)
Nel 1205 i cittadini riescono addirittura ad essere esentati dalle gabelle imposte dal Ducato di Spoleto, ottenendo di rispondere solo ai funzionari del Comune nei campi fiscali e giudiziari.
L’organizzazione sociale sopraccitata che vige nel centro si differenzia dal potere signorile che regna nella zona rurale circostante. Esiste una forte contrapposizione tra la città e contado che, rimasto feudale, ha regole ancora fondate su omaggio e servitù al regnante locale. Nei territori fuori delle mura, infatti, le aspirazioni di Assisi sono molto modeste. La figura del villano che vive in questi luoghi, avendo altri signori cui rendere conto, è in antitesi con quella del cittadino del centro. Noi siamo ad Armenzano e qui vice ancora il feudalesimo.
Ci stiamo incamminando proprio in direzione del castello dove andremo a far visita al nostro signore: il conte Napoleone di Umbertino. Camminiamo indisturbati nella natura incontaminata tra bosco, scoscesi campi arati e oliveti; davanti a noi c’è un piccolo ponte che attraversa il torrente Anna. Di torrenti come questo nella zona se ne trovano con una certa facilità. Infatti
nel versante orientale del Monte Subasio affiorano rocce praticamente impenetrabili, il deflusso è superficiale e le acque di scorrimento si raccolgono in una fitta rete di fossi che vanno ad alimentare il fiume Teschio ed il torrente Chiona. (F.Venturi, S.Rossi (2003) Subasio: origine e vicende di un monte appenninico)
Giriamo a destra lasciando alle nostre spalle la strada che conduce al castello di Rocca Paida, una fortificazione di proprietà del Conte, e al ruscello che gli scorre vicino. Ricordo agli ospiti che sono con me che a San Francesco piace molto ritirarsi nella calma di questo luogo in una grotta scavata proprio dal piccolo torrente:
“Dalle carceri in due ore si giunge al Mortaro. Da qui il sentiero che i secoli hanno lasciato intatto conduceva direttamente alla Rocca seguendo il corso del torrente che, per formarsi dietro la cima, si chiamava, e si chiama ancora, il Vettoio. Il Santo ritornava con amore al suo monte prediletto. Veniva già lentamente nella grande calma dei primi giorni di autunno. La Selva di paida si ornava per lui di bacche purpuree che splendevano in mezzo al cupo fogliame. Poi seguivano i giorni di pioggia. L’acqua veniva già a distesa malinconicamente a lavare la cima e le valli. Il Vettoio correva impetuoso in fondo alla gola. Il Santo era solito, prima di salire alla Rocca di fermarsi in una caverna posta a lato del torrente, in fondo alla vallata. La gente ha conservato il ricordo di questi raccoglimenti e indica ancora la «grotta di San Francesco» accanto allo strapiombo sul quale sorgeva il castello. Pensava al volgere delle stagioni, alla morte, all’infinita misericordia di Dio.
Spesso così lo sorprendeva la notte che scendeva a oscurare l’aspra gola deserta, dalla quale si levava la grande voce dell’acqua scrosciante. (Fortini, Arnaldo (1959) Nova vita di San Francesco) ”
Tra un centinaio di metri raggiungeremo il borgo di Nottiano, a metà strada tra la nostra casa e il paese. Da lontano si sentono dei discorsi animati ma non riusciamo a coglierne appieno il significato, ed essendo in salita, non possiamo accelerare abbastanza da assistere alla scena. Arriviamo al gruppo di case e notiamo due fraticelli e un fattore che si allontana soddisfatto con una grossa vacca. Uno dei due frati ha dei lineamenti inconfondibili, è proprio Francesco, l’altro è il giovane Giovanni che si è appena unito al Santo come suo discepolo. Cosa ci siamo persi? Facciamocelo raccontare da «le fonti francescane»:
“Se vuoi, fratello, diventare nostro compagno, dà ai poveri ciò che possiedi e ti accoglierò dopo che ti sarai espropriato di tutto”. Immediatamente scioglie i buoi e ne offre uno a Francesco. “Questo bue” – dice – “diamolo ai poveri! Perché questa è la parte che ho diritto di ricevere dai beni di mio padre”. Il Santo sorrise e approvò la sua grande semplicità.
Appena i genitori e i fratelli più piccoli seppero la cosa, accorsero in lacrime, addolorati più di rimanere privi del bue che del congiunto. “Coraggio!” – rispose loro il Santo – “ecco, vi restituisco il bue e mi prendo il frate”. (fra Tommaso da Celano (1971) Vita di S. Francesco (prima e seconda) e trattato dei miracoli)Non dovevano essi rammaricarsi che il loro figlio volesse servire a Dio, poiché ciò, anche secondo il pensiero del mondo, sarebbe tornato a loro vantaggio ed onore. E d’altronde la famiglia non sarebbe diminuita, perché tutti i frati sarebbero stati da allora loro figli e fratelli. Non era consentito distogliere la creatura dal servire al suo Creatore. Appariva tuttavia giusto che, dovendo il bove essere donato ai poveri, secondo gli insegnanti del Vangelo, nessuno appariva più povero e più misero di loro e quindi il bove veniva ad essi restituito.
Tutti allora si rallegrarono, e Francesco partì con il nuovo compagno alla volta di Assisi, giù per la strada che anche oggi scende tra la rovina delle frane rugginose, dominata dalle acute strida delle aquile e degli sparvieri. (Fortini, Arnaldo (1957) 24 giugno 1957: inaugurazione della restaurata chiesa di Nottiano)
E’ in quel giorno sereno di inizio novembre che Giovanni interruppe la semina nel suo campo per seguire una nuova vita, divenendo il Beato Giovanni da Nottiano detto il Semplice, uno dei primi membri del nuovo Ordine francescano insieme con: Silvestro, Rufino di Scipione, Leonardo, Leone, Ginepro, Giacomo, Teobaldo, Agostino, Masseo da Malazzone.
Francesco continua così la sua strada con un amico in più; altri se ne aggiungeranno nel cammino. Il prossimo, forse, già lo attenderà al paese accanto. Chi sarà questa volta il prescelto: un mercante, un contadino, un nobile? No, il nuovo fratello è un reduce dalle crociate. Francesco lo riconosce subito e basterà avvicinarsi a lui perché anch’egli capisca qual’è la strada da percorrere:
…nel passare di lì, pensò di assistere al vespro nella chiesa della parrocchia, attratto, o così gli sembrò allora, dalla penombra al di là della porta aperta che, mentre lui voltava le spalle al dovere compiuto, lo invitava alla quiete e alla riflessione…restò per qualche tempo immobile, attorniato da un silenzio più profondo del mare e più sicuro della terraferma. Ma lo riscosse da quell’attimo di isolamento un lieve tocco sull’elsa della spada…in quel momento si girò, vide quell’insignificante fraticello vicino a lui…sganciò lentamente la spada dalla cintura e andò a posarla, piatta, sul primo gradino dell’altare, dove sembrava al posto giusto e in pace. L’elsa, in fin dei conti, formava una croce. (Peters, Ellis (2007) Una luce sulla strada per Woodstock)
Giovanni diventa un fedele compagno di Francesco, perché però da un certo momento in poi della storia del Santo non scorgiamo più la sua presenza? Un altro libro può farcelo scoprire:
…la cui storia getta una viva luce sulla semplicità dei primi giorni dell’ordine.
Ognuno ricorderà con quanto zelo San Francesco avesse restaurato parecchie chiese; ma le sue cure non si erano fermate qui: a lui pareva quasi una profanazione la negligenza con la quale la maggior parte di esse erano tenute; il sudiciume degli oggetti sacri, mal dissimulato dall’orpello, gli cagionava tristezza, e gli accadeva spesso, quando andava a predicare qua e là, di riunire segretamente i preti del luogo, per scongiurarli a vigilare sulla decenza del culto; ma non contentandosi neanche in ciò delle sole parole, legando insieme in un mazzo alcune ginestre, ne faceva granate per spazzare le chiese.
Una volta, proprio nella chiesa di Nottiano, nei dintorni d’Assisi, attendeva a questo lavoro, quando sopraggiunse un contadino che aveva lasciato l’aratro e i bovi in mezzo al campo per venirlo a vedere: “Frate, disse entrando, fammi la granata, che voglio aiutarti”, e spazzò il resto della chiesa.
Quando ebbe finito: “Frate, disse a Francesco, da gran tempo io avrei voluto servire Iddio, specialmente dacché ho inteso parlare di te, ma non sapevo come fare per venirti a trovare; ora piacque a Dio che noi ci incontrassimo, ed oggi in poi farò tutto quello che ti piacerà d’ordinarmi”.
Francesco, vedendo tanto fervore, ne provò molta gioia, e gli sembrò che, con la sua semplicità e con la sua purezza, quello diventerebbe un buon religioso.
E di semplicità doveva averne fin troppa perché, dopo essere stato accolto nell’Ordine, si credette obbligato ad imitare il maestro perfino nei gesti, e quando quello tossiva, sputava o sospirava, egli pure faceva altrettanto. Alla fine Francesco se ne accorse e lo ammonì dolcemente. Poi diventò così perfetto, che gli altri frati lo ammiravano molto, e dopo la sua morte, che avvenne poco appresso, san Francesco si compiaceva nel raccontarne la conversione, chiamandolo sempre non già Frate Giovanni, ma Frate San Giovanni. (Sabatier, Paul (2009) Vita di S.Francesco d’Assisi)
…quindi la vita di Giovanni fu santa quanto breve.
Io e i miei amici continuiamo, intanto, verso Armenzano e nel frattempo racconto ai miei ospiti dove li sto portando:
“Siamo a «balìa Armençani», una delle cinquantadue del contado di Assisi ed anche tra le estreme del comitato assisano. Gli altri Comuni sono lì ad un passo e il confine è segnato prevalentemente da delimitazioni naturali. Da Spello ci divide l’Anna, un torrente che i latini chiamavano «Amnem» cioè fiume, la cui sorgente è posta sopra Nottiano, scorre fino a lambire il colle di San Giovanni di Collepino per finire nel Topino. Un altro punto di delimitazione è il fosso Renaro, posto al termine di un vasto bosco. Da Nocera ci divide la Fossa Luparina un posto caratterizzato da selvaggi precipizi il cui nome sta a confermarne l’assidua frequentazione di gruppi di famelici lupi.
La nostra terra è governata da Napoleone, figlio di Umbertino, e noi siamo diretti proprio al suo castello.”
Percorriamo una strada in forte pendenza e vediamo di fronte il paese. Tutt’intorno all’abitato ci sono piccoli campi delimitati da recinti di pietre a secco e siepi; all’interno scorgiamo vigneti, frutteti fioriti e orti. La recinzione serve a proteggerli dalle greggi e dagli armenti che invece sono liberi di pascolare nei vicini campi incolti. Da lontano ci godiamo lo spettacolo, ammirando le strutture murarie e le forme urbanistiche, capaci di realizzare una perfetta combinazione tra natura e geometria, tra caratteri topografici del luogo e funzione economico-sociale, giusto connubio dell’impiego urbano con quello rurale. Si tratta di un castello di poggio con nucleo circolare a doppio anello, sviluppatosi proprio in età comunale,
costruito intorno a un cassero che funziona da fulcro dominante l’intero complesso. Il cassero, infatti, rappresenta un’emergenza rispetto a tutte le visuali e a tutti i possibili tracciati d’avvicinamento, esso è l’immagine concreta del potere feudale, da cui promana il castello stesso. Quest’immagine d’immanenza è poco visibile una volta che, salita la rampa di accesso e superata la porta con arco a tutto tondo, delineato da elementi di cotto, si entra all’interno dell’abitato, seguendo il percorso a spirale di una stretta strada, contornata da una fitta schiera di case in pietra, che nascondono la vista della sommità del colle. Le case si affiancano prevalentemente all’esterno, verso le colline circostanti, quasi… come se… gli abitanti volessero, almeno nell’intimità domestica, potersi assicurare un’illusoria libertà dai pesanti vincoli di una dipendenza con l’autorità feudale. (Assisi al tempo di san Francesco : atti del 5° Convegno internazionale : Assisi , 13-16 ottobre 1977)
Entrando nel cassero ci avvertono che tutti i suoi occupanti sono nella cappella signorile, impegnati in una delle messe di commiato di Ugolino, uno dei figli di Napoleone morto di recente. Ci sono proprio tutti: la vedova Bionda, i figli Napoleonuccio, Adeleta e Dialta che nel frattempo è diventata suor Lucia, le sorelle del morto, Elena e Angeleia, e i fratelli Bonconte e Umbertino con le rispettive consorti Palmira e Aldobrandina. (I nomi dei componenti della casata sono presi dal testo: Menichelli, Claudio (1979) Un centro storico minore Armenzano)
Il corpo è stato già tumulato nel pomeriggio con i massimi onori che competono al suo rango, non prima di una sontuosa processione per le vie del paese trascinando per terra dietro il feretro i vessilli con le armi della casa in segno di cordoglio, come l’usanza vuole si faccia per onorare i cavalieri.
Le donne della famiglia sono tutte vestite di nero, ma anche familiari, amici, servitori sono in lutto e indossano clamide e cappuccio di colore scuro. Questi vestiti sono vietati dallo statuto in tutto il territorio comunale, in un regime di austerità che arriva ad imporre addirittura una quantità limitata di indumenti dei guardaroba personali, ma qui siamo nel feudo, in un’occasione in cui non ci sono leggi che tengano. Alla fine della cerimonia, come da usanza è prevista una cena per i parenti, e larghe distribuzioni di vino, di pane e vivande per la gente accorsa.
Il capo famiglia che tutti chiamano «domus Napoleo» de Armenzano è uno degli ultimi e principali feudatari del comitato di Assisi e a lui appartiene oltre al castello di Armenzano anche la zona di Rocca Paida e Serra di Valtopina. Fortini nella «Nova vita di S.Francesco», lo paragona ad un leopardo addomesticato che da tutti si lasciava riprendere dagli istinti della primitiva ferocia. Le persone che sono con me hanno notato già dal primo approccio il grande carisma che emana questo personaggio, minimamente paragonabile a quello di tutti gli altri membri della famiglia; mi espongono le loro impressioni e ci accorgiamo di avere lo stesso parere:
In disparte aggiungo: “Secondo me è l’unica persona con un vero spessore e i figli non reggono il confronto. Persino nella vita quotidiana sembra onnipresente in ogni circostanza rilevante, prendendosi carico di tutte le questioni da svolgere e i problemi da affrontare.
Lo vediamo nei documenti, cavalcare tra le ordinanze del comune, contendersi con la cattedrale di San Rufino per via dei diritti sul castello di Serra di Valtopina, brigare per la nomina di suo nipote a canonico di san Rufino e per ciò rivolgersi direttamente al Pontefice che lo chiama “il mio diletto figlio, nobile Napoleone di Armenzano”; impegnare la sua parte della Rocca Paida per dotare le figlie; indebitarsi con altri consorti; intervenire come principale cittadino nei patti stretti tra i comuni vicini che convergono nella chiesa di S.Rufino… posto come primo tra i cittadini che assistono, nella chiesa di S.Rufino di Assisi, alla solenne promessa fatta dal comune di Todi di liberare la città di Perugia dalle obbligazioni per essa assunte verso il pontefice.(Menichelli, Claudio (1979) Un centro storico minore Armenzano)
Insomma sembra che faccia tutto lui e che il mondo intero giri per merito suo!”
In realtà non fa proprio tutto lui, almeno non sempre in prima persona, avendo, proprio come Don Rodrigo dei Promessi Sposi, due bravi alle proprie dipendenze. Questi sgherri per suo conto si occupano del lavoro sporco oltrepassando spesso e volentieri la legalità: si chiamano Benvenuto e Leonardo. Il loro nome è ben noto ai funzionari comunali perché sempre ai primi posti nella lista degli ex banditi. Il Fortini ci dà una spiegazione di cosa significasse appartenere a questa lista:
…il reo di un delitto che, citato in giudizio, non si presentava o, condannato, si rifiutava di eseguire la sentenza, veniva posto fuori legge, quasi ad indicare che, come egli si rifiutava di riconoscere l’autorità della società di cui faceva parte, così la società lo escludeva da ogni protezione e difesa, lasciandolo in balìa dei suoi nemici… gli ex banditi non potevano più coprire cariche pubbliche né stare in giudizio, né abitare nel Comune e potevano essere danneggiati nelle sostanze. Per i delitti più gravi, potevano essere offesi impunemente nella persona. Ad ognuno era proibito dare loro asilo e ricovero, di trattare e commerciare con essi. I loro beni venivano confiscati; un premio veniva dato a chi riusciva ad ucciderli.
Cessava il bando quando il condannato si presentava in giudizio per pagare il suo debito, o sottoporsi alla pena; ovvero quando otteneva la pace dagli offesi. (Fortini, Arnaldo (1959) Nova vita di San Francesco)
Naturalmente la giurisprudenza del tempo è ben diversa da quella attuale e nella maggior parte degli statuti comunali, le pene sono quasi unicamente pecuniarie, addirittura anche nel caso di omicidio. La pena corporale si applica solo in mancanza del pagamento della pena pecuniaria e nei reati più gravi la multa si accompagna alla distruzione dei beni e al bando perpetuo dalla città.
I due ribaldi compiono per conto del signorotto ogni genere d’iniquità e vengono segnalati nel registro comunale più volte sia per reati piccoli, come farsi trovare dai custodi di notte in giro per la città contro le ordinanze degli statuti; sia per atti gravi, come derubare alcuni cittadini; sia per questioni gravissimi, come quando vengono messi al bando per l’uccisione di Buono figlio di Oportolo.
Finita la nostra passeggiata per il castello, mentre ci avviamo per la strada del ritorno, scorgiamo in lontananza dei cavalieri al galoppo. E’ l’estate del 1226 e quei cavalieri sono di Assisi, si sono recati a Bagnara e sono di ritorno con San Francesco gravemente ammalato allo scopo di riportarlo nella sua terra di origine per dare l’ultimo saluto ai compagni di tutta una vita. La gente va loro incontro per donare pane e vino e per vedere per l’ultima volta da vivo quella persona eccezionale. Qualcuno ce lo ha raccontato:
Siamo a casa, la passeggiata è stata stancante ma sicuramente più appagante di quanto non ci saremmo mai potuti aspettare. Poco dopo il nostro ritorno vedo il gruppo di turisti partiti per Assisi. Dall’aspetto sembrano sfiniti; accenno per domandare loro come è andata la giornata ma mi precedono: “Lasci perdere non mi dica niente, abbiamo girato in lungo ed in largo ma di San Francesco nemmeno l’ombra e addirittura poco fa rischiavamo di essere investiti da un gruppo di pazzi a cavallo…”.
Cerco di non farmi vedere ridere e offro loro una camomilla calda, sperando che sia in grado di conciliare loro almeno il sonno.
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