L’archeologa Letizia Ermini Pani ci accompagna alla scoperta della Grotta
Il 9 giugno 2012, armati delle migliori intenzioni, vestiti da Indiana Jones, in barba al terribile brigante Cinicchia e a Frate Elia, probabili ex inquilini illustri dell’immobile, e persino incuranti dell’IMU, siamo scesi nella Grotta di Cinicchio per una visita ispettiva con Letizia Ermini Pani archeologa dell’Università la Sapienza di Roma e vicepresidente del CISAM di Spoleto.
L’edificio in esame è una costruzione semi-ipogea in località Ponte San Vetturino nel comune di Assisi. E’ posta sulla cima di una collinetta sormontata da un piccolo bosco a meno di un chilometro in linea d’aria con la Basilica di San Francesco, ma pur sempre in piena campagna. La prima idea di una costruzione longobarda sembra decadere poiché questo popolo usava colonizzare i centri urbani a scapito del resto, dove al più venivano costruite alloggi umili come capanne e raramente edifici in pietra.
La struttura è composta di due locali di forma e fattura simili tra loro collegati per mezzo di un lungo corridoio.
Data la forma allungata e la caratteristica ipogea è da scartare anche l’ipotesi che fosse una torre d’avvistamento, ipotesi che avrebbe giustificato la sua posizione in cima ad una collina con una visione completa della zona, da Assisi fino a Santa Maria degli Angeli.
Nella costruzione si entra tramite una stretta apertura che affiora dal terreno con una volta a botte.
Entrambe gli ambienti interni hanno poi un’apertura verso l’alto dalla quale tramite uno scivolo si poteva presumibilmente calare del materiale dall’alto. Ciò farebbe pensare ad un probabile piano superiore del quale oggi non resta però alcuna traccia.
Tutto fa presumere ad un manufatto pianamente medievale. Non è semplice dimostrare se l’edificio sia stato costruito e poi ricoperto, per posizionare magari un piano rialzato, oppure si sia murato intorno a qualcosa che somigliava ad una grotta già esistente. Si potrebbe propendere per la seconda ipotesi poiché qua e là il sottile strato di muro è, con gli anni, crollato, lasciando intravedere un robusto strato di terra e roccia privo di malta capace di auto-sostenersi.
Ovunque nel muro si trovano, nicchie, rientranze, o piccole mensole ad indicare che il luogo era stato progettato come locale ad uso abitativo o come magazzino.
La cosa particolare dell’edificio è proprio il corridoio di collegamento tra le due stanze apparentemente privo di scopo e dalla lunghezza spropositata. Su di esso escono simmetricamente dal muro all’altezza di circa 1,80m dei mattoni squadrati a mo’ di piccola mensola. Il fatto di essere completamente intonacato farebbe supporre ad un pezzo di acquedotto riutilizzato per scopi abitativi. Il fatto che in zona c’è una fonte di acqua potrebbe confermare la teoria.
La muratura utilizzata nell’edificio è costituita prevalentemente da pietre unite tra loro da malta cementizia. Il tutto in molte parti presenta ancora l’intonaco originale di un colore che va dal bianco a rosato chiaro. Non è escluso ci fossero dipinti murari ma di essi rimane ben poco.
Ad un’analisi più dettagliata si possono notare diversi metodi di messa in opera che presuppongono più ristrutturazioni, riparazioni, o riadattamenti nel corso gli anni.
A pietre scarsamente lavorate, e quindi di difficile datazione, si alternano pietre rosa del Subasio così ben squadrate da confondersi con i mattoni romani. La lavorazione è dunque di stile romanico ed è pressoché identica a quella della cappella duecentesca del transito di Santa Maria degli Angeli di Assisi, studiata proprio dalla prof. Ermini durante un suo scavo presso la Porziuncola.
A riepilogo di questo breve excursus archeologico abbiamo desunto tante informazioni utili. L’ipotesi, da confermare tramite un futuro saggio archeologico approfondito, è che: l’edificio sia il riutilizzo di un acquedotto in disuso o di una concrezione geologica già esistente. Il confronto con più assonanze potrebbe essere quello con gli eremi benedettini della Valnerina ricavati da grotte. L’idea che l’edificio possa aver ospitato un eremita non è per niente peregrina.
I tanti stacchi tra stili di muratura diversi fanno presagire a vari rimaneggiamenti, tra cui uno dei più nuovi e ben conservati e quello duecentesco che di fattura è identico a quello della Cappella del Transito, luogo di trapasso di San Francesco di Assisi.
Splendido il bilancio di questo sabato diverso dal solito soprattutto per aver conosciuto di persona la professoressa Letizia Ermini Pani, che, oltre ad avere un curriculum come pochi in Italia, può vantare una cortesia e una disponibilità unici. Grazie da parte mia, di Marcello Betti e di tutta la ProLoco anche ai suoi colleghi e collaboratori: Ermanno Arslan e Francesca Romana Stasolla che speriamo di incontrare presto.
Il prossimo passo, infatti, è lo scavo archeologico approfondito e il successivo restauro che aggiungerebbe una perla al già numeroso tesoro posseduto da Assisi.
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