La Pala Baglioni (1507) un dipinto smembrato di Raffaello Sanzio. Nella parte centrale, denominata: La Deposizione Borghese, si cela la storia della Signoria Perugina.
Se mi chiedessero qual è il dipinto più importante della storia moderna di Perugia io risponderei sicuramente “La Deposizione Baglioni” di Raffaello, ricordando mestamente che non siamo noi a conservarne l’originale. Nel seicento l’opera fu giudicata così bella da pontefice Paolo V Borghese da dichiarare, con bolla papale, che gli apparteneva di diritto, facendo arrivare a noi solo una copia di discreta fattura. Questa pala d’altare ha tanto da raccontarci ma per intendere il suo linguaggio bisogna iniziare con un breve excursus sui suoi committenti. I Baglioni erano una nobile famiglia di stirpe militare d’origine germanica che scese in Italia al seguito dell’imperatore Federico Barbarossa. In lotta con l’acerrima avversaria famiglia Oddi, per il controllo della zona centrale dell’Umbria, in un continuo sali scendi di vicende cruente, riuscì tra il ‘300 e il ‘400 ad estendere i propri possedimenti ben oltre la città di Perugia. Sembra strano ammetterlo ma il loro problema principale fu la prolificità. Erano tanti, persino troppi, e nei rami principali della famiglia nacquero poi più maschi che femmine, tutti naturalmente d’indole bellicosa con un carattere piuttosto irrequieto e animoso. Nessuno si dedicò allo studio delle lettere e delle scienze, e pochissimi abbracciarono la carriera sacerdotale, chi poi lo fece, quando ne ebbe occasione, sopra la tonaca non indugiò a mettere una corazza.
L’apice del potere i Baglioni lo ottennero sotto la guida di Braccio, figlio di Malatesta, che intorno alla metà del ‘400 riuscì ad esercitare su Perugia una signoria occulta; quelli furono anni di splendore, mecenatismo e florida crescita. Alla sua morte il comando sarebbe dovuto andare al figlio Grifone ahimè ucciso in battaglia solo due anni prima. Si fecero quindi avanti i due fratelli di Malatesta: Guido e Rodolfo che, contando sulla tenera età del nipote Federico, chiamato in onore del padre Grifonetto, ne usurparono il comando. Sentendosi legittimato dai natali e forse anche da quel nomignolo, Grifonetto covò sempre risentimento nei confronti degli zii e alla prima occasione cercò e ottenne la vendetta. Il 14 luglio 1500, passato alla storia come la notte delle “Nozze rosse”, Federico durante il matrimonio del cugino trucidò gran parte dei propri parenti e assunse il comando della città. Uno dei sopravvissuti, Giampaolo, completò qualche giorno dopo la faida familiare e stavolta fu proprio Grifonetto a farne le spese. L’evento delittuoso rappresenta inconfutabilmente l’inizio della parabola discendente della famiglia Baglione e della loro signoria. In questo contesto il giovane Raffaello fu chiamato a dipingere un quadro da Atalanta Baglioni con lo scopo di ricordare ai posteri il proprio figlio Grifonetto. Il pittore eseguì un lavoro sublime: le espressione nei volti di Atalanta (la Madonna) e di Zenobia moglie di Federico (Maria Maddalena) sembrano riprodurre quelle dell’istante in cui morì il loro congiunto. Il ritratto di Grifonetto (il giovane che sostiene le gambe del Cristo) bello come un adone, sembra al contempo quasi inespressivo come estraniato dal contesto; lo sforzo non riesce ad alterarne i lineamenti nel viso e il suo sguardo è perso nel vuoto, come morto. Tutto fa supporre che Raffaello realizzò in maniera perfetta la commessa a lui assegnata. Stavolta quello che sembra scontato, scontato non è! La tela è indubbiamente un capolavoro ma non c’è unanimità sul fatto che abbia rispettato i desideri della committenza, così la pensa la studiosa Alessandra Oddi Baglioni discendente della nobile casata, che vede nell’opera una forte connotazione politica. Raffaello passò i primi anni di lavoro tra Urbino e Perugia e in quest’opera attraverso i suoi colpi di pennello, descrisse come in un libro stampato una situazione politica che conosceva benissimo. Al centro il Cristo morto sembra rappresentare il potere conteso, a sinistra da Roma, con San Pietro e San Giovanni che incombono a controllare che il trasporto prenda la direzione giusta e a destra dai Baglioni che, cercando di scampare alla tirannia papale, vorrebbero riportarlo nella terra umbra; le tre donne che sorreggono Atalanta rappresenterebbero Bettona, Torgiano, Castiglione le città dove la famiglia regnava. Anche il paesaggio sullo sfondo cambia da un lato all’altro dell’opera: se a sinistra è più dolce, fatto da laghetti, torri e edifici bramanteschi, a destra è più aspro con gole e castelli in stile baglionesco. Infine, in primo piano scorgiamo il tarassaco, chiamato in dialetto soffione, da sempre simbolo della fede cristiana romana che con il vento diffonde la buona novella ovunque. In questa contesa da che parte stava Raffaello e chi lui pensava meritasse di spuntarla? La risposta è nel piede di San Pietro, quindi di Roma, che sovrasta quello di Zenobia Baglioni e dei perugini tutti; c’è poi la firma dell’artista apposta proprio sulla pietra dello scalino in basso a sinistra, oggetto da cui Gesù prese proprio il nome del suo discepolo. Raffaello aveva capito che questa pala d’altare poteva essere la sua grande occasione per fare il salto di qualità ed arrivare alla corte del Papa. Non voleva ci fossero dubbi sul suo conto e la vittoria dello stato pontificio sui ribelli fu il suo biglietto da visita. Nel 1508, anno successivo alla consegna dell’opera, era già a Roma da papa Giulio II. Abbiamo parlato di tutti i personaggi raffigurati nell’opera tranne uno: il secondo portantino del Cristo, quello che visivamente affaticato sorregge il peso maggiore, che sta per salire lo scalino e quindi per decretare la vittoria del papato. Chi è?
Anche se Raffaello ne ha confuso le fattezze, confrontando alcuni ritratti dell’epoca scopriamo l’arcano. E’ Giampaolo Baglioni che secondo l’opinione del pittore, con la sua politica troppo accondiscendente, stava trascinando la sua stessa famiglia in bocca a Roma. Mai previsione fu più azzeccata e il prode condottiero che era scampato alle faide familiari, la vendetta di Cesare Borgia, cadde nelle grinfie del suo alleato Papa Leone X che, allo stile di un processo kafkiano, con un pretesto lo fece incarcerare e poi decapitare. Ah, se avesse guardato meglio la pala d’altare della cappella di famiglia!
pubblicato su: Terrenostre (Ottobre 2012)
Perché i capelli di Grifonetto sono mossi dal vento?