Rufino di Scipione da Assisi

Categorie: Assisi

Michelangelo Merisi da Caravaggio - San Francesco (di Giuseppe F. Merenda)

Assisi, XIII secolo

Rufino apparteneva alla nobile famiglia degli Scifi, conti di Sasso Rosso, ed era cugino in primo grado di Chiara, essendo suo padre Scipione di Offreduccio di Bernardino uno dei fratelli di Favarone il padre della futura protettrice della televisione. Omer Englebert scrive che Rufino era “timido, riservato, silenzioso e forse anche un po’ balbuziente; che aveva orrore di parlare in pubblico e che viveva talmente perduto in Dio che gli succedeva sempre di emettere parole sconnesse quando lo si distraeva dalla preghiera”.(1) A questo ritratto non molto lusinghiero Paul Sabatier aggiunge che Rufino era “visionario ed estatico”(2) e Jacques Le Goff che“pregava anche nel sonno”.(3) Nel Fioretto XXIX si legge che “egli stava molto melanconoso e triste”.(4) Insomma, Rufino era timido, insicuro, fragile, glossolalico, balbuziente e cacaglioso. Oggi diremmo che era uno psiconevrotico ossessivo, afflitto dalla fobia dominante dei tempi: la paura di essere dannato e di finire all’inferno per l’eternità. La sua fobia era aggravata dall’angoscioso pensare che nonostante le infinite preghiere i suoi peccati fossero così gravi che mai sarebbe riuscito a conseguire la salvezza dell’anima. Così, quando si sparse la notizia che Francesco dopo avere scontato l’esilio a Gubbio era ritornato ad Assisi e aveva fondato una comunità povera dedita alle preghiera, Rufino pensò che quella potesse essere la sua grande occasione di salvezza, per cui, nonostante l’opposizione del padre, il quale non voleva che andasse a finire in mezzo a un gruppo di pazzi, e spinto dalle sollecitazioni di Chiara andò ad unirsi alla cumarca di Francesco.

All’inizio rimase molto impressionato dalla facilità con la quale vedeva il figlio del panniere mettersi in contatto con Dio e dalle certezze che lo stesso mostrava nell’indicare i percorsi per giungere alla salvezza eterna, ma ben presto si trovò a fare i conti con le difficoltà della vita comunitaria. Non avendo la tempra del guerriero come gli altri maschi della famiglia Scifi, era stato da sempre abituato a vivere nelle mollezze: la fame, il freddo e le privazioni che quotidianamente affliggevano i novelli frati risultavano per lui assai gravose. In particolare, fare la questua era la cosa che più gli veniva difficile e della quale profondamente si vergognava non sentendosela lui, nobile e ricco, di andare in giro a chiedere l’elemosina. Per cui fingendosi assorto nelle preghiere sperava di esserne dispensato, ma Francesco che lo aveva sgamato era implacabile e lo costringeva ad andare per la questua più degli altri frati. Rufino obbediva piangendo, tuttavia, nonostante le mortificazioni, le rinunzie e le preghiere, le idee ossessive che gli frullavano nella testa non lo abbandonavano, anzi il Demonio lo tormentava con sempre maggiore insistenza, tanto che una volta gli apparve sotto forma di Crocifisso e gli disse:“O frate Rufino, perché te affliggi tu in penitentia et oratione, cum ciò sia cosa che tu non sii de li electi ad vita eterna? Et credemi, però che io so quelli che ho electi et predestinati, et non credere al figliolo di Pietro Bernardone si te dicesse el contrario, et ancho non n’el demandare de questo, però che né egli, né gli altri lo sa, si non io che sono Figliolo de Dio; Però credimi per certo che tu sii del numero de li dannati, et così el figliolo de Pietro Bernardone, tuo patre, et anche el patre suo sono dannati, et qualunque lo seguita è ingannato.(5) Diavoli - Giotto Basilica Superiore di San Francesco Assisi Satanasso era stato diabolicamente chiaro: Rufino era nel registro dei dannati con suo padre Scipione e con suo nonno Bernardino, e c’era pure Francesco. Tutti e quattro erano dannati senza appello. Smarrito e devastato pensò che a quel punto era meglio se andava a fare l’eremita e se si allontanava da colui che aveva aggravato la sua posizione escatologica. In termini psicoanalitici si può dire che sviluppò un transfert negativo verso Francesco. Ma l’Alter Christus non poteva accettare che una pecorella abbandonasse il suo gregge. Seraficamente contrariato mandò frate Masseo a cercarlo. Masseo trovò Rufino imboscato in una grotta del Subasio, nota località stanziale degli eremiti umbri. Dopo averlo adeguatamente cazziato, tirandolo per le maniche e spintonandolo per le terga, lo riportò all’ovile. “Et vedendolo venire da longa, sancto Francesco comenzò ad gridare: «O frate Rufino captivello, ad chi hai creduto?». Et iognendo ad lui gli dixe per ordine tucta la tentatione che aveva avuta dal demonio dentro e de fuore, mostrandogli chiaramente che colui che gli era apparito era demonio et non Christo, et che per nullo modo gli doveva mai consentire a le sue subiestioni. «Ma quando el demonio te dice più: ‘Tu sii dannato’ – dice sancto Francesco – et tu li respondi: ‘Apri la bocca et mò vi te caco!’ Et questo te sia segnale che egli è demonio, che decte che tu haverai queste parole, incontinente fuggirà»”(6) Incredibile. Francesco ordina a Rufino di eseguire un atto defecatorio dentro la bocca del Diavolo che gli appare sotto le sembianze di Cristo! Forse questo è uno dei motivi per cui nessun papa prima di Bergoglio aveva pensato di farsi chiamare Francesco. L’atto che Francesco ordina di fare a Rufino è così carico di raccapriccianti risvolti da mettere in difficoltà qualsiasi teologo e da ridicolizzare i tentativi di difesa da parte dei francescani, i quali asseriscono che dicendogli di “cacare” in bocca al diavolo Francesco suggerisce a Rufino di compiere un atto simbolico contenente una funzione terapeutica capace di fargli affrontare l’elemento perturbante che egli percepisce nel Diavolo e dunque di trasformare il transfert negativo in un transfert positivo. Appare invece evidente l’ambivalenza e il mimetizzarsi di un pensiero dentro un altro, il celarsi dell’immagine di Cristo dentro l’immagine del Demonio e viceversa. E poi, traspaiono simbolicamente “anali” l’aperta ribellione di Rufino nei confronti di Francesco e le reciproche aggressioni: l’uno invidioso dell’altro, l’uno perturbante dell’altro. Per tutti questi motivi, consci e inconsci, nonostante le insistenze e le larvate minacce di Francesco, Rufino non ce la fece a restare con gli altri frati e se ne ritornò nella sua grotta sul monte Subasio. “Ritornatosene frate Rufino ne la cella sua ad la selva, et standose con molte lacrime in oratione, eccote venire lo inimico de l’umana natura in forma de Christo, secondo l’apparentia de fuore, et dixeli: «O frate Rufino, non t’ò io decto che tu non credi al figliolo de Pietro Bernardone, et che non te affatighi in lacrime et orationi, però che tu sii dannato? Que te iova affligerte mentre sei vivo, che quando morrai sarai dannato?». Subito frate Rufino respuse: «Apri la bocca, et mò te ce caco!».”(7) Diavolo iracondoRufino in un disperato tentativo di salvezza cercò di eseguire l’ordine di Francesco. E’ facile immaginare lo sbigottimento del Diavolo nel vedere il figlio di Scipione cavarsi le brache e apprestarsi a defecargli fra le fauci. Sorse però proprio in quel momento un problema tecnico che né Francesco né Rufino avevano considerato: l’atto per essere attuato necessitava della tempestiva disponibilità del materiale per la bisogna, anzi (si perdoni la banalità della cacofonia) per il bisogno. A causa di questa difficoltà tecnica la delicata operazione abortì. Rufino si fermò con le brache a mezza coscia con gran delusione del Diavolo che essendo per definizione e per natura porco già pregustava il piacere di ricevere delle feci nella cavità orale. “Di che el demonio exdegnato, incontinente se mutò ne la sua forma horribilissima, et partise con tanta tempesta et commotione de pietre dal monte Subasio che era ivi ad lato che per grande spatio bastò la ruina de le pietre che venevano giù per la valle exfavillando fuoco horribile.”(8) Da allora quella zona divenne ad alto rischio sismico. Rufino, atterrito dalla visione del Diavolo nella sua forma naturale e orribilissima, inaspettatamente se la fece addosso e contemporaneamente pervenne a considerazioni più realistiche sulle capacità magiche del condottiero dei frati minori e giurò e spergiurò che sarebbe definitivamente rimasto solo e lontano da tutti. Ma Francesco non volle arrendersi e ad ogni ricorrenza o festività pretendeva che Rufino si aggiungesse agli altri frati e partecipasse alle celebrazioni. Il cugino di Chiara resisteva strenuamente: “Voglio rimanere qui a vivere in solitudine, poiché in questo modo mi salverò certamente più che sottomettendomi a un tale uomo e alle sue bizzarrie.”(9) Acquattandosi nell’utero di pietra rappresentato dalla grotta, restava ossessivamente a pregare e per “la continua contemplatione era si absorto in Dio, che quasi era diventato insensibile et muto, e rarissime volte parlava.”(10) Insomma, chiudendosi nel suo tormento interiore cercava di essere dimenticato dal mondo, pur nondimeno “sancto Francesco una volta gli conmandò che andasse a predicare al popolo ciò che Dio lo ispirasse. Di che frate Rufino gli respuse: «Patre, io te prego che me perdoni et ad ciò non me mandi; però che, como tu sai, io non ho gratia de predicare, et so semplice et idiota.» Alhora dixe sancto Francesco: «Perché non hai obedito prestamente, io te conmando per sancta obedentia che nudo, con le brache solamente, tu vada ad Asisi et entri in una chiesa et così nudo predicherai al popolo!»”(11) Espoliazione di Francesco - Giotto Basilica Assisi Dalla sua posizione di up dog Francesco volle ancora pesantemente intervenire sul traballante equilibrio psichico di Rufino. Oggi diremmo che abbandonata la terapia simbolico-interpretativa, fece ricorso a una tecnica comportamentale, cioè indicò al riluttante Rufino la prescrizione terapeutica paradossa del sintomo balbuzie: «Vai nudo in chiesa a predicare!» “Al quale conmandamento frate Rufino se spoglia nudo, et va ad Asisi et intra in una chiesa; et facta reverentia a l’altare, sale in su el polpito, et comenzò ad predicare. Per la qual cosa li fanciuli et homini comenzarono ad ridere et dicevano: «Ecco, questi frati che fanno tanta penitentia, che diventano stolti et escono fuore de se!»”(12) Rimarcarono i padri ai figli indicando i due disgraziati: «Guarda che se ti fai frate, poi ti riduci come loro!», mentre le pie donne, di fronte a quella manifestazione d’impudicizia, si allontanavano con gli occhi sfuggenti. “In questo menzo sancto Francesco, pensando sopra la prompta obedentia de frate Rufino, et del conmandamento duro che gli haveva facto, comenzò a reprendere se medesimo et diceva: «Onde ad te tanta presumptione, figliolo de Pietro Bernardone, vile homicciolo, ad comandare ad frate Rufino, el quale è de’ maiori gentili homini de Asisi, che vada nudo ad predicare al popolo como uno pazo? Certamente tu provirai in te quello che tu comandi ad altrui.»”(13) Non poteva certamente Francesco con il suo dirompente narcisismo permettere che qualcuno gli rubasse la scena. “Et subito in fervore de spirito se spogliò anch’egli nudo et vasene ad Asisi, et menò con lui frate Lione, che recasse el habito suo et quello de frate Rufino. Et vedendolo li asisciani, lo schernivano reputando che egli et frate Rufino fossero impazzati per la troppa penitentia”.(14) San Francesco di Assisi - Fratello Sole e Sorella Luna Zeffirelli Se si potesse ritornare indietro nel tempo sarebbe veramente gustoso assistere allo spettacolo di Rufino e di Francesco, nudi, che corrono inseguiti dal frastornato Leone con i sai in mano, mentre intorno a loro gli assisani si scatenano con ingiurie, lazzi e lancio di materiali organici. Gli autori del Fioretto non specificano in quale chiesa entrarono. Omer Englebert, così racconta il proseguo dell’episodio: “Frate Ruffino stava già per incominciare a recitare la breve esortazione penitenziale della Regola. Invano l’infelice alzava la voce per farsi sentire: più egli si sforzava, più la gente sghignazzava. Pensando che il castigo era ormai più che sufficiente, Francesco salì sul pulpito e ne fece scendere il malcapitato, poi, seminudo com’era  cominciò a predicare l’elogio della nudità del Salvatore sulla croce, e lo fece in termini così accorati e caldi che le risa degli uditori si trasformarono ben presto in lacrime di commozione.” (15) Occorrerebbe, a rigore di logica, conoscere anche il parere dell’interessato, cioè sapere da Gesù se veramente si trovò a suo agio nudo sulla croce, visto che secondo i vangeli nella circostanza si lamentò parecchio con il Padre suo. “Poi sancto Francesco se vestì lui et frate Rufino, et così vestiti se retornarono ad Sancta Maria de l’Angeli.” (16) Libri - Francino l'altra storia di san Francesco - Giuseppe F. MerendaAveva eccellentemente riscaldato la platea Rufino, inconsapevole spalla, proiettando il suo capocomico Francesco verso un clamoroso trionfo. Nulla più di un corpo nudo attrae l’attenzione come ben sanno i pubblicitari che reclamizzano automobili o bevande alcoliche. Le valenze istrioniche di Francesco, spettacolarizzate dall’esposizione del suo corpo e assommate alla sua autentica e sofferta passionalità, penetrarono facilmente nella suggestionabilità e nella eccitazione mistica dei suoi compaesani. La predica ebbe successo come un concerto pop. Anche in quella occasione fu smentito l’antichissimo proverbio che recita: “le brache non fanno il monaco” (cucullus non facit monachum). E’ vero proprio il contrario: l’abito, le divise, i copricapi, le mitre, gli incensi e soprattutto le scenografie “fanno” il monaco, il papa, il politico e il dittatore. Non si hanno altre notizie di Rufino il quale morì ad Assisi nell’anno 1270, quarantaquattro anni dopo Francesco, ad ottant’anni suonati. Rufino non ha raggiunto la gloria degli altari come gli aveva preconizzato il Serafico Padre, ma la fama letteraria sì, perché assieme ad Angelo e Leone ha scritto la Legenda trium sociorum , la più ruspante delle biografie sul “Poveretto” d’Assisi.

Note: 1) O. Englebert: San Francesco d’Assisi. Mursia. 1997. pp.110-111. 2) P. Sabatier: Vita di San Francesco d’Assisi. Mondadori Saggi. 1999. p. 157. 3) J. Le Goff: San Francesco d’Assisi. Laterza. 2000. p. 43. 4) Le note 4, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14 e 16 sono tratte dai fioretti XXIX e XXX, pp. 91-97. I Fioretti di S. Francesco. Edizioni Porziuncola. 1955. 9) P. Sabatier: Ibidem. p. 161. 15) O. Englebert: Ibidem. p.111.

Riguardo l'autore

Giuseppe F. Merenda

Psichiatra e psicoterapeuta, è l'autore di: "Francino, l'altra storia di Francesco d'Assisi"; "L'uomo che gustò la morte", uno studio sulla vita di Gesù-Cristo; "Santuzze e Santuzze", le incredibili storie dei martiri siciliani; "Storie di cani e di umani"; "Santità e Follia"; "L'offerta del corpo: Spose di Cristo e Fidanzate di Allah"; "Le mistiche folli".

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Commenti

  1. Avatar for Giuseppe F. Merenda
    Stefano Bistarini Dic 23, 2014

    Il libro di Merenda è il più completo e storico dei libri che ho letto su Francesco.

  2. Avatar for Giuseppe F. Merenda
    Mauro La Spisa Mar 11, 2018

    Tutto molto documentale ma poco o per nulla fenomenologico perché la follia dei gesti ascetico-mistici consiste anche nel rappresentare la collisione di rovesciamento del comportamento normalizzato dalla mentalità prevalente. Anche nella vita di Caterina da Siena si incontrano momenti ributtanti. Del resto ad esempio, entrare in un corpo militare, in un team sportivo, etc esige il sacrificio delle comodità consuete, figurarsi entrare in sintonia col divino… Tutta la storia dell’ascetica e della mistica è all’insegna del paradosso. Se uno si getta in acqua e poi si lamenta di esserne bagnato, la colpa non è dell’acqua…

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