Due importanti precettorie, un frate assisiate al loro comando, poi sui Cavalieri Templari dell’Umbria cala un misterioso silenzio.
In Umbria, come in tutto il resto d’Europa, i Cavalieri Templari si dissolsero in un soffio di vento. In quella tragica notte di venerdì 13 ottobre 1307 fu decretata la prematura fine dell’Ordine, alimentando un’enorme quantità di miti e leggende. A differenza di altri territori, nell’Italia centrale le rappresaglie nei confronti dei monaci guerrieri furono meno radicali ed esistono ancora molti segni della loro presenza che aspettato solo di essere decifrati.
L’ordine dei Templari nacque all’indomani della prima missione crociata in Terrasanta, all’ombra dei potenti feudatari che intendevano spartirsi le nuove conquistate. Dalla Francia, sei cavalieri, due monaci e uno scudiero partirono per oriente con l’obiettivo di servire il neonato Regno cristiano. Fu assegnato loro il compito di proteggere i pellegrini e pattugliare le strade che conducevano a Gerusalemme. Ben presto il loro numero crebbe tanto da costringere l’entusiasta re d’Oltremare ad assegnare stabilmente loro l’intera spianata del Tempio. Si fecero così chiamare Poveri cavalieri di Cristo del Tempio di Salomone.
Il successo dei Templari ebbe molteplici ragioni storiche. Per l’epoca, l’innovazione più rivoluzionaria fu proporre un ordine contemporaneamente monastico e guerriero, scavalcando, di fatto, la tradizione vigente che divideva la società tra belatores, oratores e laboratores. La regola di Sant’Agostino imponeva ai monaci tre voti: l’obbedienza, la povertà e la castità; i Templari ne pronunciavano anche un quarto, il combattimento armato contro l’Infedele. Lo stare in armi però mal si conciliava con un ordine religioso. Fu San Bernardo di Chiaravalle, principale ispiratore dell’Ordine, a trovare il compromesso: se la lotta ai musulmani fosse diventata “Guerra Gusta” allora l’omicidio si sarebbe trasformato in malicidio, mutandosi così in buona azione. I silenziosi e obbedienti cavalieri di Dio si opponevano quindi al Male in ogni sua forma e, al contempo, aiutandosi valorosamente l’un l’altro, rispettavano la dottrina insegnata da Cristo.
La precettoria templare umbra dell’epoca, dal canto suo, non fu sicuramente di secondaria importanza ma, dovendo assurgere a protezione della cosiddetta Via dei Santuari, che da Roma arrivava a Loreto passando per Assisi, fu probabilmente tra le più estese d’Italia. Come negli odierni avamposti militari sono stoccati armi da guerra, carburante e provviste, nelle precettorie templari, insediamenti di stampo prettamente agricolo, ci si dedicava all’olivicoltura alla coltivazione del grano, alla produzione delle biade, e all’allevamento di cavalli. Questi animali, impareggiabili macchine belliche, erano fondamentali anche come mezzi di trasporto e, una volta adulti, i purosangue erano condotti in mandrie fino a Brindisi e poi, in nave, fatti arrivare in Terrasanta. Le precettorie fungevano anche da stazioni di sosta per i cavalieri di ritorno dall’Oriente o per chi si accingeva a partire. In Umbria i due principali avamposti: San Girolamo e San Giustino erano dislocate rispettivamente a levante e a mezzogiorno rispetto alla cinta muraria della città di Perugia ed erano, qui come in altre parti dell’Europa, disposte seguendo precisi dettami simbolici, a ricordare la posizione delle sedi templari del primo insediamento di Gerusalemme.
La vita dei templari non doveva essere così agiata e piacevole come si può pensare. Al momento dell’entrata nell’Ordine tutti i beni personali del cavaliere erano donati all’Ordine stesso che, con le proprie regole, provvedeva al totale sostentamento dell’adepto, il quale rimaneva a tutti gli effetti in completa povertà.
Le regole da rispettare erano severissime. Ogni rapporto con il sesso femminile veniva precluso: era vietato abbracciare e baciare donne anche se facenti parte della propria famiglia d’origine. I membri del gentil sesso dovevano essere allontanati senza esitazione e persino la propria madre, se pur degna di onore e rispetto, doveva essere tenuta a debita distanza e salutata appena con un gesto del capo. Il cavaliere era sempre pronto per la battaglia, vestito di tutto punto sia di giorno sia di notte, dormiva su un pagliericcio che stallava da solo il mattino successivo e, durante il sonno, la luce di una torcia rischiarava l’ambiente. La sveglia era fissata alle quattro in inverno e alle due in estate, ora degli uffizi religiosi obbligatori a cui partecipavano anche infermi e i feriti, portati alla celebrazione in lettiga dai compagni. Era vietato andare a caccia, giocare a carte, a dadi o dedicarsi a qualsiasi altro passatempo, ridere scompostamente, parlare troppo a lungo o gridare senza motivo. I capelli dovevano essere rigorosamente corti o rasati ed era consigliata la barba lunga. Era vietato mangiare maiale, la carne era concessa solo due volte a settimana, il venerdì si digiunava, durante la Settimana Santa si stava a pane ed acqua, per il resto dell’anno i due pasti quotidiani erano a base di zuppa di verdure e legumi.
All’apice della sua potenza, ai vertici dei Cavalieri Templari umbri fu posto un frate assisiate: tale fra Bonvicino, la cui origine nostrana è comprovata dal testo francese di fine ottocento “Les registres d’Innocent IV”. Il religioso nella parte centrale del ’200 rivestì l’incarico di cubicolare papale sotto ben quattro pontefici diversi. Il termine “cubicolare” discende dal latino “cubiculum”, camera da letto, e nell’accezione moderna indica l’odierna figura di segretario personale. Riuscire a diventare l’uomo di fiducia della massima carica ecclesiastica attribuiva un potere e un’autonomia enormi e non era insolito che tale onore fosso attribuito a Templari, famosi per essere fedeli servitori, capaci diplomatici e valenti amministratori. Fra Bonvicino dimostrò indiscutibili capacità come mediatore di liti e controversie, prezioso interlocutore tra la Santa Sede e le città confinanti, pacificatore dei dissidi interni al feudo papale, riscossore di tributi, ed ebbe l’onere/onore di trattare in prima persona alcuni rapporti del Papa con il potente Federico II di Svevia.
Per l’Ordine di cui faceva parte, Bonvicino amministrava una grossa fetta delle ricchezze dell’Italia centrale e della Sardegna. Da lui dipendevano anche le due precettorie del perugino: San Giustino d’Arna, che acquisì in quel periodo il toponimo di “domus fratis Bonvicini” e San Girolamo, dove lo stesso frate sovrintese ai lavori di costruzione di quel gioiello d’arte Templare che è ancora San Bevignate. La chiesa dalle linee pure, decise e forti, rispecchia a perfezione lo stile e l’operato Templare e resta oggi tra le massime espressioni rimaste dell’Ordine in Italia. Bevignate, monaco eremita di fine XII secolo, rappresenta una figura storica misteriosa dai contorni sfumati e sfocati. La sua canonizzazione, proposta per primo proprio da fra Bonvicino, fu favorita dall’intervento delle autorità cittadine, così da far rientrare Bevignate nel novero dei santi per volontà e devozione popolare. Si conoscono solo pochi dettagli sulla sua vita, la leggenda lo vede tra gli ispiratori della nascita dell’Ordine dei Flagellanti.
In un periodo di accentuate disparità sociali, di continue guerre, di pressanti minacce da parte dei movimenti eretici, al governo cittadino di Perugia si fece strada una pars populi di connotazione guelfa che dava voce alla necessità di concordia e pace politica. Il timore di una ipotetica catastrofe imminente spinse le persone al pentimento e ad azioni di pacificazione all’interno della città. Questa fazione trovò negli ideali propri dei Flagellanti, l’opportuna copertura ideologico-religiosa utile alla sua affermazione.
I Templari, proponendo la canonizzazione di Bevignate, cercarono di conseguire un duplice obiettivo: conferire all’area suburbana sede del loro quartiere generale una sorta di aura sacrale come sito di eremitaggio di un santo e ottenere al contempo un’alleanza con il movimento politico-religioso di stampo popolare più in ascesa del momento. In quest’ottica populista, gli affreschi della chiesa dettero ampio spazio sia a San Bevignate sia ai Flagellanti, rappresentati in un ideale Giudizio Universale mentre praticano penitenza, con punizioni corporali, per presentarsi puri all’incontro con il Giudice eterno.
L’appoggio del popolo, le severe regole di vita cui sottostavano, la loro fede religiosa influenzata dall’interazione con le popolazioni orientali, la particolarità di essere al contempo monaci e guerrieri, l’esprimere i propri messaggi più con i simboli che con le parole, furono solo alcuni fattori che contribuirono al repentino successo che portò i Poveri cavalieri di Cristo a essere l’ordine monastico più influente e ricco del Medioevo. Questo enorme successo, però, li condannò ad una fine altrettanto rapida perché contro di loro stava tramando l’ambizioso re Filippo il Bello. Così anche San Bevignate rimase incompleta, i beni dei Templari umbri furono confiscati, ma inspiegabilmente gran parte degli adepti sparì nel nulla a inizio ’300 e nessuno ai vertici dell’Ordine fu mai processato per eresia, alimentando così l’ennesimo mistero in attesa di soluzione.
pubblicato su: Terrenostre (Marzo 2014)
LEGUMI, qual Bonvicino d’Assisi, alimenta ancor fra Bevignate e i Cavalier del Tempio..!!!
Marcello sei un’impagabile risorsa per il nostro gruppo, GRAZIE
Mi occupo di esoterismo da sempre. Vivo in Umbria, e molto luoghi li conosco, infatti organizzo pacchetti turistici, mi interessa molto l’argomento, continuate ad inserire. Quando la chiesa boccia l’esoterismo e ad Assisi c’è più esoterismo che religione! La chiesa mente come sempre, l’esoterismo è strettamente connesso alla religione, solo che la chiesa cerca sempre di nascondere, ma qui è troppo evidente, grazie a tutti.