“Ehi…ehi, alzati che è tardi!”
“ …no anche la domenica!”
“Dai, oggi è proprio una bella giornata e hai promesso ai nostri ospiti che li avresti portati a fare una passeggiata”
“Mi dispiace correggerti, ma sei tu che hai promesso che li avrei portati a fare una passeggiata, non è la stessa cosa!”
“In ogni caso sono già fuori che ti aspettano”
“…queste simpatiche iniziative mi mettono allegria e mi danno la giusta carica nel mio giorno di riposo dopo una settimana di lavoro!”
Esco dalla porta, vedo la magnifica giornata e mi ritorna il buonumore. Tutto sembra festante. La varietà di colori e gli odori di questo luogo mi sono diventati familiari e mi fanno star bene; ma sono i rumori, non so perché, quelli che mi danno un ulteriore senso di immutabilità e di pace interiore. Tutti sembrano essersi svegliati prima di me. Sento: il ronzio delle api che planano sopra ai loro succosi fiori, lo scampanellio lento e ritmato dei collari delle pecore che pascolano nel campo poco sopra di me, il fruscio di un lieve vento sulle fronde degli alberi, il cinguettio degli uccelli, il ticchettio del picchio, il din-don della campana della chiesa di S.Maria che chiama i pochi fedeli in raccolta, il rumore di un trattore e di una motosega in lontananza segno di qualcuno che all’«ora» preferisce il «labora», il flebile rumore della nostra caldaia accesa, e le grida dei due bambini della famiglia nostra ospite che giocano a rincorrersi nell’aia.
Mi schiarisco la voce e fingendo di essermi svegliato con il piede giusto mi rivolgo a loro: “Si parte per la passeggiata! Vi porto all’eremo di Nottiano e poi al paese, infine, solo chi resiste tornerà qui!”
Lasciamo la casa e ci dirigiamo per un sentiero al luogo di nascita del beato Giovanni. Attraversiamo la vecchia vigna di Giovanni, omonimo del frate francescano e compianto nonno di mia moglie precedente proprietario della località, luogo che fino a qualche anno fa si chiamava “Casa Giorgetto” e che ora in suo ricordo sulle carte topografiche è diventata “Casa Mazzoni”. Purtroppo l’uva non cresce rigogliosa come una volta perché nessuno la cura più. Noi diciamo di non aver tempo, in realtà il motivo è che non se ne percepisce la convenienza e tutti gli anni rimandiamo a data da destinarsi. In compenso gli animali selvatici sembrano apprezzare quei frutti della terra e riescono sempre a precederci nella raccolta a mo’ di punizione per l’incuria. La testimonianza del loro passaggio la troviamo poco più avanti lungo il tragitto: una miriade di cunicoli in mezzo alla boscaglia e una conifera dal tronco scortecciato sono un facile indizio del passaggio dei cinghiali.
E’ primavera, nel nostro cammino un tappeto colorato accompagna i nostri passi. I ragazzi sembrano attratti da tutto e tutto sembra per loro nuovo: provano a inseguire un ramarro appena uscito a godersi il tepore primaverile e già costretto a rintanarsi.
Verde pisello, con questa pelle lucida, sembrano fatti di Pvc, come quelli che si vendono ai bambini alle bancarelle delle fiere. A guardarli con attenzione la loro livrea ha anche una vena bluastra che gli conferisce un che di esotico, mentre le zampe puntate in terra, così diverse da quelle minute delle lucertole ci ricordano la parentela con i primi rettili comparsi sulla Terra. (Salari, Gabriele (2008) Diario umbro: un anno sul monte Subasio tra santi, lecci e profeti)
Fuggito il ramarro, sono le farfalle a incuriosire i piccoli e
in primis il macaone, che per me rimane una delle più eleganti con le sue strisce nere sul fondo giallo, i due bolli blu verso la coda sfrangiata. (Salari, Gabriele (2008) Diario umbro: un anno sul monte Subasio tra santi, lecci e profeti)
Ora sono lì in terra a osservare degli sparuti steli verdi sormontati da fiori viola disposti a spiga. Loro non hanno mai visto qualcosa del genere, anche se in realtà sono orchidee selvatiche ed è comune trovarne sia nei boschi, sia nelle radure, che nei prati del Subasio. Tra le molte specie di fiori del monte una curiosa analogia mitologica ne accomuna tre, tra cui proprio le orchidee.
La mitologia greca vuole che siano nate dal sangue di un bellissimo giovane, Orchide, gettatosi da una rupe proprio per sfuggire alla propria ambigua e sensuale bellezza.
I numerosi fiori, tutti bellissimi nella loro varietà, nati sul prato che accolse il suo corpo, ne riproducevano perfezione e sensualità. (Lucchi, Olga (1999) Il colore dei fiori nel Parco regionale del Monte Subasio)
Altre due specie di fiori tipiche della zona prendono il nome da «belli e dannati» dalla mitologia
Uno è il narciso che, a ragion veduta, può essere
considerato un po’ il simbolo del monte Subasio, tanto che potrebbe essere scelto come immagine del Parco. Nonostante anch’esso non sia più diffuso come qualche tempo fa, per la raccolta indiscriminata che ne è stata fatta, a primavera il narciso rende ancora i prati del monte fittamente punteggiato di bianco e l’aria odorosa. …il bellissimo Narciso fu condannato a innamorarsi di se stesso riflesso nell’acqua ed a soffrirne sino a desiderare la morte. Il suo corpo scomparve ed al suo posto comparve il fiore che ora porta il suo nome. A ben vedere si tratta di un fiore alquanto vanesio nella sua bellezza, destinato ad attrarre l’attenzione, ma rivolto sostanzialmente a se stesso…(Lucchi, Olga (1999) Il colore dei fiori nel Parco regionale del Monte Subasio)
L’altro è l’adonide, un fiore di colore vivo con una corolla composta da cinque a dieci petali e foglie divise in filamenti.
Intorno ad Adone (da cui il fiore trae nome), giovane bellissimo e seducente di cui si innamorarono Venere e Perserone, esistono molti racconti della mitologia medio-orientale e greca… E proprio secondo la mitologia classica il fiore nacque da una sostanza magica versata da Venere sul sangue del bell’Adone ucciso, al fine di riprodurne ogni anno la bellezza. Il fiore è delicatissimo ed il vento ne fa volare prestissimo i petali…(Lucchi, Olga (1999) Il colore dei fiori nel Parco regionale del Monte Subasio)
Continuiamo a camminare lasciando a destra la nostra piccola “chiusa”. E’ un campo di ulivi di circa un quarto di ettaro che risale alla fine dell’ottocento. E’ dall’inizio dell’attività del B&B che con santa pazienza lo abbiamo ristrutturato, piantando nuovi ulivetti a rimpiazzare quelli morti negli anni e risistemando gli alberi che hanno resistito alle quattro gelate del secolo scorso: 1901, 1929, 1956 e 1985. A volte mi rammarico della mia pigrizia che tende a farmeli trascurare per dedicarmi ad altri passatempi meno faticosi, ma li guardo sempre con orgoglio per il lavoro svolto fino ad adesso.
Attraversiamo la sbarra a delimitazione della proprietà e giriamo a destra scorgendo lo scosceso bosco che lambisce il torrente Anna. Attraversiamo il piccolo ponte e sentiamo il rumore del fiumiciattolo che zampilla dall’alto. Dopo il ponte la vegetazione muta un po’: siamo in una zona che per esposizione è perennemente in ombra ogni ora del giorno e anche le piante sembrano volercelo puntualizzare. Il panorama a sinistra è bellissimo, in mezzo agli alberi vediamo il letto scavato dal torrente che nel tempo ha scolpito un fossato ripidissimo. Usciamo da questo corridoio di ombra e il sole torna a far capolino, noi nel frattempo giriamo a destra e ci incamminiamo per un viottolo in salita che porta al borgo di Nottiano.
Arrivati lì qualcosa inizia a non quadrarmi: vedo delle transenne fatte con la striscia bianca e rossa e delle scritte, “Lavori in corso”, “Proprietà privata”. Dei mezzi da lavoro sono parcheggiati poco più avanti. I miei ospiti mi interpellano chiedendo spiegazioni su dove li ho portati e su come mai siamo finiti in mezzo ad un cantiere. A mia discolpa, ribadisco loro che lì c’è il borgo dove visse il Beato Giovanni e che non mi risultava ci fossero lavori. Al contempo, meravigliato ma sicuro del fatto mio, consiglio di andare avanti per finire la camminata.
Cerco di forviare la discussione e confondendo i miei ospiti con notizie sul luogo prese a caso da qualche cassetto della memoria: “…oltre alla chiesa di Nottiano, Armenzano ne ha un’altra dedicata alla Madonna. In passato ce n’era anche una terza al centro del Castello, probabilmente ex-cappella signorile, dedicata a Sant’Antonio da Padova. Data l’incuria in cui versò, le suppellettili in essa contenute vennero spostate altrove. Il quadro rappresentante il Santo fu portato nella chiesa parrocchiale e la leggenda narra che più lo riportavano in chiesa e più lo ritrovavano al Castello.
Fino a poco tempo fa l’oggetto giaceva abbandonato nella cappella del Cimitero lacero, strappato, sbiadito; riconoscibile solo il mazzo di gigli con il quale S.Antonio viene sempre rappresentato. (Sampalmieri, Virgilio P.(1988) Notizie sui castelli di Collepino, S. Giovanni, Armenzano)
Oggi il povero quadro animato, accorgendosi forse di non essere più desiderato, ha lasciato anche quel luogo e non so proprio che fine abbia fatto.”
I miei discorsi non sembrano interessare molto i turista, ma almeno sono serviti a cambiare argomento. La strada è ripida ma l’aria pulita che respiriamo ci fa sentire meno la fatica dell’ascesa. Mentre salgo il viottolo, i miei pensieri sono presi da quelle insegne minacciose e quei mezzi da cantiere parcheggiati proprio davanti alla chiesetta del borgo. E’ vero, venerdì sono tornato dal lavoro che già era buio e non ho visto nessun movimento che mi facesse sospettare qualcosa di anomalo. Non posso negare che ormai da qualche tempo vedo insegne “Vendesi” un po’ ovunque, tanto da averci fatto quasi l’abitudine, pensando che facciano parte ormai del panorama. Purtroppo la crisi economica ha costretto molti proprietari a cercare di vendere quelle case ereditate dai loro antenati ma ormai troppo onerose da mantenere e, probabilmente, siccome la crisi c’è ma non per tutti, qualche facoltoso ha deciso di comprare il borgo di Nottiano. Buon per lui!
“Signori resistete ancora un po’ che siamo quasi arrivati ad Armenza…no”. No, ancora nuove transenne e nuovi macchine da lavoro! I turisti sembrano spazientiti dal disagio causato da buche e tubazioni lasciate nel tragitto e continuano a domandarmi quello che in realtà io non so.
Da lontano scorgo un abitante e provo a fermarlo per domandare qualcosa. Lui stranamente sembra non sentire le mie parole e addirittura allunga il passo. Accelero anche io e lo raggiungo smanioso di avere una risposta. Lui, inizialmente è riluttante a parlare, poi mi dice che da qualche tempo una società ha comprato tutte le case in vendita e ha fatto delle buone offerte anche a chi non aveva intenzione di lasciare Armenzano. Ad acuire ulteriormente le cose il Comune, dopo aver venduto all’asta l’ex scuola elementare, per far cassa, si è sbarazzato anche di altre proprietà, quindi adesso è tutto in mano a privati.
La famiglia del mio interlocutore ha il contratto firmato e deve lasciare la casa a fine mese, per quel frangente verrà pure chiusa la strada che circonda il paese. Mi indica sconsolato delle strisce di gesso sull’asfalto a indicare il percorso della futura recinzione. Mi vede visivamente alterato, sa che, chiudendo la strada del paese, il nostro B&B non avrebbe più un collegamento né con la città di Assisi, né tanto meno con Spello e, scrutando il suo sguardo, sembrano dirmi “Mi dispiace, non era questa la nostra intenzione”.
Continuo domandandogli: “Ma allora che fine farà il paese?” .
“Purtroppo nessuno ce lo ha detto. Si pensa che venga utilizzato per costruire una cittadella della scienza, altri dicono che ci verrà una lussuosa beauty farm, altri ancora che sarà l’abitazione di campagna di un ricco industriale. I cattivi dicono che l’investimento è stato fatto con i soldi riciclati da affari illeciti, purtroppo quello che è sicuro è che Armenzano non sarà più di nessuno di noi, e non potremmo neanche più passeggiare dove abbiamo vissuto da tante generazioni.”
Basito saluto il poveretto che avrebbe fatto di tutto per evitare di incontrarmi e comunque è stato gentile da rispondere con sincerità alle mie pressioni. Faccio per tornare dai miei ospiti per dire loro che si torna a casa, quando vedo uno dei due bambini che, allontanatosi troppo dai genitori, è caduto accidentalmente in uno scavo lasciato aperto. Corro subito per andare a soccorrerlo. Non si è fatto niente ha avuto solo un po’ di paura. Mentre sono lì nella fossa per tirarlo fuori scorgo qualcosa che luccica vicino al mio piede. E’ un pezzo cilindrico di metallo con delle pietre colorate sopra, sembra un grosso anello ma è tutto sporco ed è ridotto molto male. Lo prendo e lo metto in tasca come ricordo della mia ultima visita al centro di Armenzano.
Porto a casa i miei ospiti che oltre ad essere delusi per la visita sono anche molto stanchi per la camminata e il bambino, dopo essere caduto nella buca, ha preso anche qualche strattonata di troppo dalla madre e non sembra molto contento.
Al ritorno, descrivo la situazione che ho appena visto a mia moglie Sara e anche lei resta basita: “Come è potuto succedere? Poi così rapidamente e nessuno ci abbia detto niente!”.
Anche lei sembra preoccupata per il futuro della nostra attività, ma soprattutto per il destino a noi sconosciuto del paese, della sua storia e dei pochi abitanti che lo hanno popolato fino a ieri. La vedo prendere animatamente il telefono per avere ragguagli e informazioni da questo o da quello.
Io intanto tolgo l’oggetto misterioso dalla mia tasca e lo ripongo in un piccolo contenitore vicino al camino in attesa di trattarlo con un qualche prodotto per riuscire a ridargli la sua vecchia lucentezza. Una volta ripulito potrà far bella mostra di se proprio lì vicino agli oggetti legati al passato della casa: la macchina da cucire della nonna, i vecchi contenitori per dolciumi del piccolo emporio del trisavolo, i fusi per la lana, il vecchio ferro da stiro, gli orci per il vino, la lanterna ad olio dei primi anni del secolo scorso, un mattone di fine ottocento usato in una delle tante ricostruzioni. Mi piace questo modesto museo che abbiamo in casa e che ci lega ai suoi vecchi proprietari, a maggior ragione ora che la nostra storia sembra cambiare di «padrone».
La serata è tersa e ho bisogno di svagami un po’, prendo allora il mio telescopio e lo piazzo al solito posto. Lo punto come abitudine a nord in direzione della Stella Polare: riferimento fisso della sfera celeste dell’emisfero boreale e, da sempre, fondamento per l’orientamento di chi andava per mare prima dell’invenzione della bussola. E’ la stella principale, in gergo stella alfa (α), della costellazione dell’Orsa Minore ed è così importante eppure così anonima da essere difficilmente rintracciabile dai neofiti del settore. La si trova solo grazie alle luminose costellazioni vicine come: l’Orsa Maggiore detta anche Grande Carro. Quest’ultimo gruppo è invece impossibile da confondere, con le sue luminosissime sette stelle principali, a rappresentare nel cielo proprio il disegno di un carro.
Sposto di poco lo sguardo a sinistra e scorgo Boötes: la costellazione del Bifolco, intimamente connessa a livello mitologico a quella precedente. Per gli antichi greci infatti Boötes era figlio di Zeus e di Callisto. La gelosa moglie di Zeus trasformò Callisto in un’orsa per vendetta, e Boötes quasi uccise la propria madre mentre era a caccia. Zeus tuttavia la salvò, ponendola in cielo come Orsa Maggiore. (Tildsley, Kevin (2007) Cielo Notturno)
Alzo gli occhi e osservo, troneggiare allo zenit, lo spavaldo Ercole: raffigurato con un ginocchio a terra e con il piede destro appoggiato sulla testa del Drago. In una delle sue famose 12 fatiche l’eroe dovette affrontare e uccidere questo mostro a guardia dei pomi d’oro che appartenevano alle Esperidi, le figlie di Atlante. Punto il telescopio in corrispondenza della schiena del personaggio mitologico per osservare M13 uno dei più bei ammassi globulari di tutto il cielo. Metto a fuoco e quello, che a occhio nudo era un microscopico puntino, diventa una miriade di stelle vincolate le une alle altre per attrazione gravitazionale verso un punto centrale che appare molto denso e luminoso.
Mi soffermo solo un attimo a gustare questa meraviglia e poi continuo a spostare lo sguardo verso sud. Quasi all’orizzonte c’è una delle costellazioni che a me piace di più: lo Scorpione. Ha una forma inconfondibile con la coda alzata raffigurata tramite una linea curva di stelle, e le chele vicino al muso. Proprio lì c’è Antares: una stella gigante con il suo diametro di circa 600 milioni di chilometri e una luminosità pari a 9.000 volte quella del Sole. ma quello che la contraddistingue e che non posso non notare è sicuramente il suo colore rosso spiccato. A volte mi capita di osservarla più di una volta fino a vederla, sconsolato, tramontare dietro il monte.
E’ in quel punto del cielo che sembra terminare anche la «Via Lattea», che qui si mostra in tutta la sua magnificenza e che invece quando sono in città è impossibile da vedere. La scia di stelle che la compone ha proprio l’aspetto di una chiazza di latte che spacca il cielo da Nord a Sud. Seguo con lo sguardo il suo percorso e arrivo alla meravigliosa costellazione del Cigno con le sue ali spiegate che vola proprio sopra a quel mare latteo. Punto il mio telescopio sopra la testa del immaginario animale e ingrandendo scopro che la stella che scorgo a occhio nudo in realtà ha una gemella praticamente sovrapposta, la prima ha un colore arancione e l’altra blu-verde. Anche la coda di questa costellazione ha una particolarità: si chiama Deneb ed è la stella più distante da noi che riusciamo a vedere a occhio nudo. Sto vedendo l’aspetto che questo oggetto aveva 3.000 anni fa, da lì sapranno della mia esistenza solo tra millenni, per il momento si dovranno accontentare di vedere la nascita delle antiche civiltà nostre progenitrici. Deneb, insieme a Vega della Lira ed Altair dell’ Aquila, fa parte del così detto Triangolo Estivo: le tre stelle più luminose dello zenit estivo. In quella zona del cielo mi soffermo con il telescopio a gustare M57: la Nebulosa Anello, che ci appare appunto con la forma di disco ellittico ed è lì a testimoniare una esplosione stellare avvenuta qualche migliaia di anni fa a monito di ciò che accadrà al nostro sole tra 6 miliardi di anni. Peccato perderci lo spettacolo!
Proseguo per la Via Lattea per tornare di nuovo a Nord a gustarmi un’altra prosopopea mitologica. Osservo la costellazione di Cassiopea a forma di W e lì vicino Cefeo che sembra una casetta stilizzata e ancora Andromeda, Perseo e Pegaso.
Secondo la mitologia greca, Andromeda era la figlia di Cassiopea e Cefeo di Etiopia. Cassiopea si vantava di essere più bella delle figlie del dio del mare Poseidone. Questi si arrabbiò e mandò la Balena, un mostro marino, a devastare l’Etiopia. Per placare Poseidone, Cassiopea e Cefeo incatenarono Andromeda a una roccia vicino al mare, come sacrificio per la Balena, …fu il grande eroe greco Perseo ad arrivare appena in tempo sul suo cavallo alato Pegaso, e a salvarla, In seguito la sposò. (Tildsley, Kevin (2007) Cielo Notturno)
Colgo l’occasione per puntare per l’ennesima volta il telescopio per ingrandire la nostra galassia gemella M31: la galassia di Andromeda, tra i due e i tre milioni di anni luce distante da noi eppure visibile, per le sue enormi dimensioni, anche ad occhio nudo. E’ bello vedersi allo specchio per accorgersi come è fatta Via Lattea con le sue 100 miliardi di stelle e il suo diametro di circa 100.000 anni luce in cui noi siamo meno di un granello.
Quando osservo il cielo non mi rendo conto del tempo che trascorre e mi sento chiamare perché l’ora è molto tarda. Prima di andare non posso mancare di sbirciare Giove il gigante gassoso e pianeta più grande e massiccio del sistema solare. Riesco a notare bene la differenza di colore delle strisce longitudinali delle sue nubi, dal giallo chiaro al rossiccio. Scorgo anche un puntino nero entro la sagoma del pianeta, segno che uno tra Ganimede, Io, Europa e Callisto, i quattro principali satelliti che portano proprio i nomi delle amanti di Giove, è in congiuntura con il pianeta stesso.
Saluto il cielo notturno, smonto tutto e vado a riposare.
Riposare per modo di dire! Si è rifatta di nuovo mattina ma sia io che Sara questa notte abbiamo dormito molto poco e pensato molto, senza venir a capo di niente. Per distrarmi vado nel campo degli ulivi con l’intenzione di svuotare la mente e fare qualche lavoretto rimasto in sospeso. Vedo Sara da lontano intenta nelle pulizie della stanza al piano terra e nel lavaggio della biancheria. Entrambi speriamo ancora che sia stato un brutto sogno e magari questo pomeriggio, tornando in paese, tutto sarà come prima. Devo dire che questa piccola «chiusa» è per me un vanto e la tratto come una figlia ma è proprio faticoso andare su e giù per questi pendii, non mi meraviglio di essere il solo della famiglia così pazzo e fuori dal tempo. Torno che sono tutto sudato ma un po’ più rilassato di prima. Non vedo l’ora di darmi una sciacquata.
Mentre sono in bagno però sento un rumore dal piano di sopra. Ma chi è? Sara è ancora impegnata nelle pulizie e i turisti sono fuori. Forse la situazione vissuta ieri mi ha fatto venire delle paranoie, ma voglio andare a controllare. Sono questi i frangenti in cui avrei voluto seguire il consiglio di quella signora di qualche pagina fa e chiudere a due mandate ogni porta. Entro e vedo un tizio nella sala delle colazioni intento ad armeggiare nei libri della bacheca.
“Ma lei chi è?”.
“Buon giorno, ho bussato, era aperto e sono entrato. Volevo una camera per una notte.”
L’uomo dopo aver detto queste poche parole ricomincia a leggere con avidità uno dei libri da me presi in prestito in biblioteca e non mi da più nessuna attenzione. E’ vestito con abiti semplici e non sembra nemmeno così pulito, ma ha un’ aria e un portamento apparentante aristocratico. Ha con se un piccolo zaino che non può aver dentro più di un cambio. Dopo qualche secondo si accorge che sono ancora lì e interrompe di nuovo: “Sono maleducato, non mi sono ancora presentato, ma del resto non lo ha fatto nemmeno lei. Io mi chiamo Nicola Fondo vengo da Verona e questi sono i suoi soldi, mi faccia vedere la stanza; il resto è silenzio”.
Appoggia del denaro sul tavolo e mi guarda fisso in volto aspettando la mia reazione.
“Un attimo che chiamo mia moglie”
“Fragilità il tuo nome è donna!”
Esco infuriato per il trattamento ricevuto e vado diretto in lavanderia: “Sara c’è un maleducato lassù che per me è da cacciare!”.
“Calma spiegami meglio non ho capito niente!”
“Vai di sopra e controlla di persona”
Attendo il responso della “titolare” e aspetto lì sicuro di risolvere il problema in pochi minuti.
Sara torna estasiata da me e dice che per la notte avremo un altro ospite: un uomo dall’aspetto un po’ trasandato ma molto affascinate. “Pensa che appena entrata mi ha accolta dicendo: chi sei tu che avvolta nella notte inciampi così nei miei pensieri o qualcosa di simile. Sembrava una frase gentile rivolta a me, ma non ho ben capito, adesso è pieno giorno? Mah, forse è vero che è un po’ strano ma ha già pagato e va bene così”.
La decisione non dà diritto a repliche ed io non sono dell’umore adatto per pretenderne, accetto e me ne vado di nuovo con la mia forbice a tagliare un po’ di sottobosco sperando di non incontrarlo di nuovo, ho preso le ferie per rendermi un po’ utile in giro.
Sono lì a lavorare ma appena alzo lo sguardo me lo rivedo di nuovo seduto sopra ad un rialzo del terreno che mi osserva.
“Ancora buon giorno”, mi dice non aria spavalda.
“Buon giorno”, rispondo malvolentieri.
“S’è fatto estate sfolgorante ai raggi di questo sole.”
“Non lo dica a me, come vede sono tutto sudato e di lavoro ce n’è ancora tanto.”
“E’ una bella prigione il mondo.”
“Cosa intende dire?”
“Niente, visto che oggi è lunedì e sua moglie mi ha detto che lei fa l’ingegnere pensavo fosse al lavoro. Probabilmente è in ferie e non capisco perché stia qui a faticare come un matto e poi per cosa, per quattro sterpaglie”.
“A me piace altrimenti non lo farei, nessuno mi ha obbligato, non sono originario di qui e devo dire che non è stato proprio amore a prima vista, ma ora mi sono affezionato al luogo e mi piace curarlo un po’.”
“Come vi piace. A me sembra che l’infermo è vuoto… tutti i diavoli stanno qui”.
Comincio a perdere la pazienza e visto che sono armato non dovrebbe fare il simpaticone così!
“Naturalmente non dicevo di lei in particolare, dicevo in generale del trambusto che ho scorso da lontano quando venivo giù da voi. Ma che succede, radono al suolo un paese intero?”
“E’ una lunga storia anche se a dire la verità fino a ieri la ignoravo.”
“Ho tempo sono in vacanza, me la racconti.”
Sembra fare di tutto per darmi fastidio ma cerco ancora di resistere e gli racconto quello che so. Lui per tutta risposta mi dice che ha visto il paese di sfuggita, gli sembra siano quattro sassi vecchi un sopra l’altro e una bella ristrutturata dalle fondamenta non gli farebbe che bene. Io a quel punto non me la sento di continuare la conversazione e mi allontano stizzito senza proferir parola, al che il tizio mi segue con lo sguardo fino a quando sono a portata del suoi occhi e poi a mo’ di scusa mi richiama a voce alta dicendo: “Mi dispiace che le mie parole l’abbiano offesa, può ben dire la sua un leone, quando a dir la loro ci sono tanti asini in giro.”
Rincaso che è quasi sera e tutti sono lì a chiacchierare fuori al gazebo. Ci sono i miei compagni di passeggiata di ieri, c’è mia moglie e c’è «Lui».
Io faccio in modo da girare alla larga, ma appena Sara mi vede mi blocca dicendomi che mi vuole parlare di certe telefonate che ha ricevuto: sembra proprio che non sia cambiato niente per secoli e che voglia succedere tutto oggi. Alcuni abitanti hanno chiamato con strane novità: “Innanzi tutto sembra che ci sia stato un rapimento, il capo cantiere dei lavori non si riesce più a trovare è sparito nel nulla, la polizia e i vigili del fuoco lo sta cercando ovunque. Poi proprio questa mattina lo stesso intermediario che ha eseguito il rogito degli acquisti si è affrettato a contattare gli ex-proprietari per fissare una offerta per il recesso, dice che il suo cliente versa in condizioni gravi di salute e non è più interessato all’affare.”
Replico: “Tutte cose molto strane. Gli armenzanesi che faranno, ricomprano le loro case o no?”
“Quasi tutti hanno trovato un’altra sistemazione e praticamente nessuno vuole tornare indietro sia per problemi economici, sia perché con i lavori interrotti a metà ci vorrà molto per rimettere tutto in ordine.”
“Di male in peggio, e chi ce lì ha i soldi per ricomprare tutto e rimettere le cose a posto? Ora avremo a che fare con un paese fantasma!”.
“Non disperate. Vi è qualche particella di bene anche nelle cose peggiori, sta agli uomini saperla attentamente estrarre” interviene nel discorso Nicola: “Quando le cose diventano difficili occorre prendere le armi contro un mare di problemi e combattendo disperderli”
Anche gli altri vedendo che la discussione si anima vogliono partecipare e il capofamiglia commenta: “…da quello che mi è sembrato di capire il paese non è che avesse poi così tanti abitanti. Sarebbe stato il suo normale destino comunque, siate realisti e’ un gruppo di ruderi in mezzo ad un monte!”.
A quelle parole Sara non può non replicare: “La mia famiglia abita in questo «posto anonimo» da generazioni e per noi non è così male. Mio marito ed io abbiamo scritto un libro intero che parla della storia di Armenzano!”
“In realtà non è ancora finito, manca l’ultimo capitolo che stiamo scrivendo proprio in questi giorni”, puntualizzo io.
“Un intero libro, come siete riusciti e riempire le pagine?”
Ora non manca altro che la solita battutina di Nicola. E’ solo una questione di secondi e prende la parola: “Io sono di passaggio e sono l’ultimo a poter parlare ma, se veramente siete affezionati a questo posto come dite, non potete arrendervi o abbattervi, esistono più cose in cielo e sulla terra, di quante ne possa immaginare e una soluzione ci deve pur essere, del resto noi siamo della stessa sostanza dei sogni”.
Le cose strane non sono ancora finite ora invece del solito insulto ci sono parole di solidarietà. Vorrei ringraziarlo ma mi esce solo la frase: “Belle parole ma noi non ti conosciamo affatto, potresti essere in qualche maniera collegato agli accadimenti odierni. Per esempio non ti ho ancora chiesto con cosa sei arrivato fin qui visto che non hai la macchina”.
“E’ vero mi avete scoperto, del resto essere onesto, in un mondo come quello in cui viviamo, significa essere qualcuno scelto in mezzo a diecimila e io ho deciso di fare il delinquente e odiare gli oziosi passatempi di questa nostra età. Ho un destino tremendo per voi, oh, se poteste già conoscere l’esito degli avvenimenti di oggi! Ma basterà che si concluda il giorno e tutto si saprà…
…ci avete creduto? Allora sono stato convincente. In realtà non ho la macchina perché sono stato accompagnato qui da mia moglie Elena, ora è ad una conferenza al centro di Assisi, poi questa sera ve la farò conoscere, quindi niente di misterioso”.
“Perdonaci ma siamo tutti un po’ nervosi”, si affretta a scusarsi Sara.
Nicola continua parlando della sua compagna: “E’ una donna magnifica e sono innamorato di lei come il primo giorno, del resto che cos’altro è l’amore, se non una pazzia molto discreta, una amarezza che soffoca, e una dolcezza che fa bene? Quando la conobbi era già fidanzata con Demetrio, un suo compagno di studio. All’inizio non ebbi subito la pretesa di corteggiarla direttamente ma mi piaceva prenderla in giro quando parlavo di lei con le sue amiche: “Allora, per la verità, mi sembra troppo bassa per un’alta lode, troppo scura per una chiara lode, e troppo piccola per una grande lode. Solo questo posso riconoscere di buono, che se fosse diversa da com’è, non sarebbe bella, e che, essendo com’è, non mi piace”. Poi alla fine mi sono dichiarato: “Il mio cuore aveva mai amato? Occhi rinnegatelo, perché non avete mai conosciuto la bellezza fino ad ora”, a quelle parole mi a detto sì e da quel giorno siamo stati sempre insieme, tranne oggi naturalmente, in cui lei mi ha tradito per andare al convegno…”
“Aiutatemi”, interrompe esagitata l’altra nostra ospite, “Mio marito non sta bene, stava mangiando della frutta e un nocciolo gli è rimasto in gola”.
Sara cambia espressione e ci catapultiamo tutti in camera della coppia a vedere cosa è successo al pover’uomo. E’ cianotico in volto, non parla e si tocca il collo. Lo stimoliamo a espellere il colpo estraneo con veementi pacche sulla schiena e alla fine riusciamo nell’impresa. La situazione si è risolta in maniera repentina ma la paura è stata tanta.
“Grazie mille dell’aiuto, non mi capacito ancora come sia successo…”
“Tieni prendi un po’ di acqua. Certo che ne sono successe di cose strane oggi, speriamo che non accade nient’altro! Se avete ancora bisogno di noi siamo di sopra, ci vediamo dopo.”
Anche Nicola si è congedato, non lo vediamo più e questo non mi dispiace, probabilmente è in camera e a noi finalmente spetta un po’ di riposo. Sogghignando commento: “Sai, dopo aver visto che questo piccolo incidente si è sistemato, mi viene da ridere pensando che una qualche entità superiore ha deciso di punire quelle parole irriverenti del nostro ospite nei confronti di Armenzano bloccandogli proprio la voce, particolare vero?”.
Mi metto seduto e accendo la tv. Oggi, dopo tanto tempo di anonimato, siamo balzati agli onori delle cronache ma purtroppo solo per un possibile fatto tragico, per un omicidio e/o un rapimento. Ultimamente queste notizie vengono ostentate dalla cronaca per fare odiens e i nomi delle povere: Meredith, Sarah, Yara sono solo alcuni dei tanti presi di mira, quando avremmo preferito fossero rimaste nel rispetto e nel silenzio. Naturalmente qui da noi non si è ancora certi di cosa è accaduto ma vari cronisti sono alla morbosa e famelica ricerca di qualche lugubre scoop.
Deluso, faccio zapping, e poi mi ricordo del mio anello: “Sara lo sai, sono successe molte cose e mi era passato di mente, ma ieri ad Armenzano in una buca scavata dalle ruspe ho trovato un vecchio anello, te lo mostro”.
Vado a prendere il cofanetto sopra il camino e con orgoglio lo apro di fronte a mia moglie che mi osserva un po’ scocciata, mostrandogli il mio tesoro.
“Ti vorrei fare contento, ma non c’è nessun anello”.
“Strano l’ho messo qui, qualcuno deve averlo preso e io un nome ce l’ho in testa, andiamo a bussare a Nicola”.
Sicuro vado nella direzione della sua camera e provo, ma niente, non è lì e non ci sono più neanche i suoi oggetti personali è come se non ci fosse mai stato. “Te lo avevo detto che era un poco di buono, è andato via e ha portato con sé il mio anello!”
“Dai non scherzare, se fosse stato un ladro, innanzitutto non ci avrebbe pagato e poi non avrebbe rubato solo un vecchio anello che fino a ieri neanche avevi”.
A guardar bene nella camera non è tutto come prima, c’è il biglietto di benvenuto fuori posto. Lo vado a rimettere sul comodino, ma… c’è scritto sopra qualcosa: “Se noi ombre vi abbiamo offeso, per poterci dare il perdono: fate conto di aver dormito, mentre queste visioni apparivano e che a mostrarvi paesaggi immaginari sia stato un sogno.
Signori, non ci rimproverate.
Se ci perdonerete…rimedieremo!”
“Ma che vuol dire?”
“Questa frase l’ho già sentita, fammi pensare”. Esco e vado in sala a prendere il libro che ho preso in biblioteca e che questa mattina il misterioso tizio leggeva. E’ una raccolta di opere di Shakespeare e la frase è proprio scritta nell’ultima pagina di «Sogno d’una notte di mezza estate».
“Noo, ci ha messo alla prova e ci ha preso in giro! Si è inventato tutto quello che ci ha raccontato a partire dal suo nome, traduzione italiana di quello di uno dei personaggi di quest’opera, così anche per il nome di sua moglie e dell’ex-fidanzato; la sua città di provenienza poi e tutte quelle frasi sono prese da altre opere presenti nel libro!”
“Ma non ha senso. Con quale scopo venire qui, mettere confusione in un momento in cui non ce ne sarebbe stato proprio bisogno e poi, andare così come si è venuti portandosi via un pezzo di antiquariato di cui avremmo sinceramente fatto a meno?”
“… e se fosse venuto proprio per quello…o grazie a quello?”
“Sei diventato anche tu misterioso, non ti riesco a capire”
Mentre parliamo dalla stanza di sotto viene di corsa a salutarci il bambino più piccolo della nostra famigliola e ci fa notare che in tv c’è proprio la persona di cui parliamo. Ero proprio sulle nuvole, la televisione era accesa ma non la stavo osservando. C’è il servizio sugli eventi di Armenzano, il telecronista dice che la persona scomparsa è stata ritrovata e la sta intervistando proprio in questo momento.
Riconosco il luogo, sono proprio nel borgo di Nottiano a due passi da noi, e’ proprio lui, il fuggiasco, non c’è dubbio e ho proprio voglia di raggiungerlo e fargli qualche domanda, ma…
…qualcosa stride, non ha l’atteggiamento altezzoso con cui si è presentato da noi, nè il lessico che lo ha contraddistinto. Sembra stordito e, all’incalzare delle domande, dice di ricordarsi di aver perso l’equilibrio mentre lavorava e di essersi ripreso solo da poco. Un’ idea bislacca mi viene in mente e corro alla macchina. Mi dirigo a tutta velocità nella penombra della sera nella direzione opposta a dove so essere telecamere e riflettori, direzione centro di Armenzano.
La città sembra abbandonata come me la ricordavo, purtroppo non è cambiato proprio nulla, ma il mio obiettivo è il luogo dove per me è cominciato tutto. Sono di colpo sopra a quello scavo appena iniziato, nella stessa posizione in cui ero proprio ieri. Niente…
…ma cosa speravo di trovare? Nessuno mi ha visto prendere quell’oggetto e nessuno avrebbe potuto rimetterlo nel medesimo posto.
D’improvviso i mie occhi vengono colpiti da un luccichio innaturale sul fondo della buca. Mi catapulto e inizio a scavare con le mani; non è l’anello ma una moneta, scorgo poi dei resti di una cassa corrosa dal tempo e poi… altre monete e altre, sembrano non finiscano mai. Che siano proprio parte del tesoro di cui ho letto e cercato tanto in quei polverosi libri, il tesoro dell’ultima impresa di Cinicchia, rimasto lì dopo la cattura dell’intera banda e la fuga in argentina del brigante?!
Mi sento euforico, so già cosa potremmo fare con quell’oro, ma al contempo ho qualcosa che sembra disturbarmi la mente, e mentre scavo contento ripenso al testo originale da cui il nostro ospite ha tratto il suo ultimo messaggio:
Se quest’ombre v’han noiato, dite (e tutto è rimediato) che, in un sonno pien di larve, tal visione qui v’apparve.
E del tema ozioso e frale, che non più d’un sogno vale, niun, signori, ci riprenda.
Noi farem, scusati, ammenda:
se scampiamo indegnamente dalla lingua del serpente, giuro, da folletto onesto, che faremo ammenda presto; o a me dite villania.
Buona notte, compagnia. (Shakespeare, William (1595) Sogno d’una notte di mezza estate)
…
“Ehi…ehi alzati che è tardi!”
…
“Dai, oggi è proprio una bella giornata e hai promesso ai nostri ospiti che li avresti portati a fare una passeggiata”
…
Vivo ad Armenzano e il mio tesoro l’ho già qui con me!