Turista ad Armenzano – 1. A caccia di tesori

Categorie: Armenzano

Armenzano di Assisi un tesoro di paeseAssisi è una delle città più conosciute al mondo e su di essa tanto è stato ormai già scritto. E’ naturale partire dalla storia del suo più illustre cittadino, San Francesco, per approfondire poi: i monumenti, le tradizioni, gli usi, i costumi locali e tutto il resto. A malincuore ho appreso invece che poco resta della storia di realtà piccole come in particolare Armenzano: una delle venti frazioni di questo Comune. La città del Patrono d’Italia è la punta di diamante del turismo regionale. Tutto il suo territorio gode, direttamente o anche solamente di riflesso, dell’influsso della notorietà apportato dal Santo.
Molta è la richiesta e negli anni sono sorte attività ricettive come quella gestita da noi nel paesino di Armenzano, capaci di dare al pellegrino un’alternativa ai tradizionali hotel. Devo ammettere che, prima di conoscere quella che allora era la mia fidanzata, io stesso ignoravo l’esistenza di un piccolo borgo «dall’altra parte del monte Subasio». Le prime volte, per bigottismo, ho approcciato con diffidenza una realtà diversa da quella in cui vivevo; presto, però, ho dovuto prendere atto dell’amore smisurato di mia moglie per questo luogo, e ammetto che un po’ è riuscita a trasmetterne anche a me. Con il tempo abbiamo costruito, insieme alla sua famiglia, questa piccola attività e lì è uscita allo scoperto la sua innata predisposizione per l’ospitalità, e in generale per i rapporti con le altre persone.
Le relazioni con i nostri ospiti sono sicuramente meno formali rispetto a qualsiasi altro genere di attività ricettiva, e alcuni visitatori sono diventati persino nostri amici. Ognuno di loro, con una storia unica nella «valigia», desiderosi, come ogni viaggiatore, di lasciare un ricordo del loro passaggio e al contempo di tornare a casa con qualcosa in più che prima non avevano. Penso che ci dovremmo sentire privilegiati se il Mondo sceglie proprio casa nostra, e chiede proprio a noi di mostrargli i tesori antropologici di: tradizioni, esperienza, storia della nostra terra. Riflettendo su questo non possiamo non guardarci intorno, vedendo ciò che ci circonda con occhi diversi. E’ strano aver vissuto sempre qui e non essermi mai accorto che c’era un «tesoro»? Sarebbe bello scoprirne qualcosa di più!
Da lì l’idea di sfruttare la mia passione per la lettura, mettendola al servizio della causa. Non un freddo riassunto sulla storia del luogo, ma una raccolta di tutte le informazioni che sono riuscito a trovare, mescolate ad un po’ di fantasia e alle esperienze di vita fatte da me e mia moglie in questi anni d’attività. Un libro su tre argomenti che si passano la palla vicendevolmente nel corso della narrazione: Armenzano, il B&B e i libri. La parte più complessa sapevo essere quella di raccogliere informazioni sul nostro paesino. Su internet oggi si fa di tutto, ma non è facile trovare qualcosa su realtà così piccole. Le biblioteche restavano, quindi, l’unica fonte per recuperare materiale.
Non farò commenti sullo stato delle biblioteche della zona perché esula dall’argomento, mi limito a prendere atto che, a mio parere, la sezione locale è un po’ snobbata dal lettore medio. I libri che mi sono finiti in mano spesso apparivano da lungo tempo non consultati, o addirittura così intatti da avere ancora alcune pagine incollate per errore all’atto della stampa. Ho visto facce di operatori perplessi che stessi loro chiedendo proprio quel testo infilato nell’ultimo ripostiglio, e altri che con aria di sufficienza affermavano che quel libro lì non c’era mai stato. Poi, una volta trovato, con molto scrupolo mi redarguivano, indicandomi che il documento era prezioso e non poteva essere concesso in prestito, in quando doveva essere data la possibilità a tutti di consultarlo.
Stranezze a parte, il mio obiettivo era di raccogliere il maggior numero di testi per inserire più citazioni possibile. Elaborare ciò che scrive qualcun altro a mio parere è come attribuirselo, per questo, quando ne ho avuto la possibilità ho citato integralmente l’autore, evidenziandone il testo in corsivo, dando così oneri e onori a chi se li è meritati. N’è uscito, un collage di citazioni, un puzzle in cui ho cercato di esprimere a modo mio, con un’innata predisposizione da topo di biblioteca, quello che significa per me la parola «tesoro».
Andando per importanza l’onore di iniziare la carrellata spetta sicuramente a chi è venuto da noi e, prima di partire, ci ha lascito in eredità un po’ di sé e delle sue impressioni:

Da una casa di campagna ben tenuta e dai fiori contornata
parte un sentiero, è il sentiero dell’amore, della pace
della tranquillità, qua si dimentica la città!

Da un dirupo presso la Madonnina scende un lupo
forse è un discendente di quello di San Francesco
e va a caccia per procurarsi il desco.

La rosa di macchia ha maturato i suoi frutti son i
cinorodonti, rosso vermiglio e son già pronti per essere
mangiati dagli uccelli e così disseminati concludendo
il ciclo eterno, nutrendoli soprattutto d’inverno.

Siamo in autunno, il sole sta calando, il caldo è tenue
ma l’edera fiorendo prepara per le api l’ultimo polline
per ottenere il miele tornando all’alveare dove poter svernare.

L’ultima a salutarci è la formica, che prima di rintanarsi
col suo prezioso bottino arranca soddisfatta a stanca.
(Baratti, Claudio (2010) Il sentiero d’Armenzano)

I sentieri di campagna, i fiori, i frutti, gli animali selvatici, gli uccelli, le api, sembra il posto ideale dove immaginare Francesco dedito al lavoro, alla preghiera e alla contemplazione di tutto ciò che di bello ha fatto il nostro Creatore.
Ma dove ci troviamo esattamente?
Il Monte Subasio si presenta, nella Valle Umbra, come un rilievo montuoso isolato, attorniato da pianure e colline dal dolce profilo. Da vari anni è sede di un parco regionale e perciò esistono specifiche normative di rispetto e difesa della flora e della fauna autoctona.
L’etimologia del nome di questa montagna è incerta:

…Subasio potrebbe derivare da “sub” (sotto) + “Asi”: sotto la protezione degli spiriti Asi, che erano le divinità nordiche…
…secondo altre fonti il nome del monte avrebbe comunque origini sacre e si rifarebbe la culto di Sabazio, assimilato a Bacco, protettore di tutta la vita vegetale…
…anticamente il monte di Assisi era chiamato Asio, termine che probabilmente designava un’estensione di terra incolta, subito a monte della città… con particolare riguardo alla cupola sommatale, aperta e prativa…
…un’antica leggenda racconterebbe che la città di Assisi venne fondata da Asio, fratello di Ecuba, sposa di Priamo e Regina di Troia. Dopo la distruzione della città, Asio sarebbe diventato signore di un vasto territorio nell’Italia centrale; sulla cima di un monte avrebbe scelto la sua dimora, facendo sudditi i pastori che qui pascolavano il loro gregge; e a questo luogo avrebbe dato il nome di Sub-Asio, che ancora resta. (F.Venturi, S.Rossi (2003) Subasio: origine e vicende di un monte appenninico)

Presenta una cima arrotondato a «dorso di tartaruga» e, osservandolo in pianta, ha una forma allungata con una larghezza inferiore a metà della lunghezza. Vi è anche una certa asimmetria fra il versante occidentale e quello orientale. Il primo, infatti, è caratterizzato da una morfologia ripida che ha permesso di costruire città come Assisi o Spello ad una limitata altimetria, mentre ad oriente si rilevano forme più addolcite. Qui furono costruiti i castelli montani di Collepino, San Giovanni, e appunto Armenzano.
Non tutti quelli che visitano l’Umbria conoscono, però, la sua conformazione geologica e s’immaginano un’autostrada che porta direttamente ad un immenso parcheggio, da cui poi con quattro passi a piedi si arriva alla piazza principale della città che vogliono visitare. Uno degli aspetti più difficili della nostra attività è quindi gestire il primo quarto d’ora dall’arrivo del cliente. Bisogna ammettere che succede sempre più raramente, ma si potrebbe scrivere un libro intero sulle frasi che negli anni abbiamo sentito uscire dalla bocca delle persone in quei quindici minuti famosi: “Dove siamo finiti…!”, “…o mio Dio le curve, mi sento male…”. Tutto poi si esaurisce in quel lasso di tempo e magari la signora che non stava bene torna anche l’anno successivo.
Allo scoccare del quindicesimo minuto, l’attenzione del tipico turista metropolitano si sposta altrove e un dubbio amletico si insinua nella testa. Non ci si capacita dell’apparente tranquillità dei locali e la disinvoltura che spesso dimostriamo con i nostri oggetti. Un’anziana a mia moglie “Ma esce e lascia la chiave sulla porta? Qui sicuramente ci saranno dei malintenzionati. Non siete preoccupati di stare così isolati?”, e lei: “Signora, qui a differenza dei centri urbani sembrano esserci meno ladri e malintenzionati, ma non perché la zona sia più virtuosa, ma solo perché c’è meno da rubare. Le cose che qui abbondano sono: la salute, la tranquillità, e le vecchie tradizioni, tutte cose, sì ambite, ma difficilmente rivendibili!”. Lo spopolamento delle campagne iniziato nel secolo scorso ha poi ridotto di gran lunga la popolazione locale e ha reso la zona meno appetibile dal punto di vista abitativo. Naturalmente non è stato sempre così, pochi anni dopo l’unità d’Italia il paese contava addirittura 635 abitanti, per tutta la prima metà del novecento se ne contavano circa 400 per poi diminuire progressivamente fino alle poche decine di oggi. (Guarino, Francesco (2006) (a cura di) La valle del Tescio)
L’osservazione su ladri e malfattori fattaci da quella turista mi ha però stimolato a riflettere: “La zona è isolata e piena di concrezioni e grotte di origine carsica e quindi potenzialmente adatta a chi si voglia nasconde dalla legge. E se qui in passato fosse venuto qualcuno non per rubare ma per nasconderci della refurtiva, e magari un piccolo tesoro?”
Spulciando tra vecchi e polverosi libri ho trovato chi faceva al caso mio: Cinicchia, il più famoso brigante della storia di Assisi. E’ lui il mio uomo, scopriamo tutto sul suo conto e poi chissà…?
Trovare notizie su di lui potrebbe sembrare abbastanza semplice ma, aldilà degli eventi più importanti della sua vita di cui restano alcune tracce scritte dell’epoca, il resto è affidato alla trasmissione orale. I libri degli anni ’70 e ’80 che parlano di lui differiscono tra loro in molte parti. Insomma, alcune cose sono arrivate a noi solo attraverso il mito ed è difficile sapere quante di esse sono vere o false.
Oggi vanno di moda, soprattutto al cinema ma non solo, personaggi dalla accezione bivalente di buono e cattivo. Il principe azzurro sul cavallo bianco piace di meno di Shrek l’orco brutto e scorbutico ma dall’animo buono dei cartoni, o Jack Sparrow delinquente e opportunista ma anche pronto a difendere i deboli nella serie di film «Pirati dei Caraibi». Questa è un po’ l’immagine che mi sono fatto di Cinicchia in base a quello che ho letto. Me lo immagino a metà strada tra Robin Hood e l’Uomo Nero che popola gli incubi dei bambini che hanno paura del buio.
Cinicchia, al secolo Nazzareno Guglielmi, nacque ad Assisi nel 1830 da una famiglia popolana. Iniziò a lavorare molto presto, ma già qui le fonti differiscono su cosa facesse. Alcuni dicono fosse artigiano del rame e addirittura sono attribuiti a lui alcuni lavori iconografici di chiese dell’Umbria, altri il bracciante agricolo, il giardiniere e il muratore. Resta di fatto che per sbarcare il lunario cambiò vari lavori senza però riuscire a migliorare la sua posizione economica. Si parla di lui come garibaldino a difesa della Repubblica Romana e solo più avanti lo troviamo a capo di una banda di briganti operanti nell’Italia centrale tra il 1859 e il 1865.
Per capire il personaggio di cui parliamo è importante inquadrare il periodo storico in cui visse e operò. L’Umbria e l’Italia centrale erano da secoli sotto lo Stato Pontificio il cui governo stava negli anni diventando sempre più impopolare. Le popolazioni del settentrione stavano combattendo contro l’Austria con l’ambizione di ottenere la propria indipendenza. L’attuale papa Pio IX era intenzionato a schierarsi a favore l’esercito indipendentista, deludendo così i patrioti che tanta fiducia avevano avuto nelle sue riforme. Il governo papale non svolgeva più al meglio la sua funzione, facendo aumentare le manifestazioni di malcontento che sfociavano spesso in sollevazioni e tumulti.
Nel novembre del 1848 venne ucciso Pellegrino Rossi e si moltiplicarono le agitazioni di popolo. Pio IX fu costretto a fuggire a Gaeta dove si mise sotto la protezione del re di Napoli; fu così che nel gennaio 1849 un’assemblea costituente dichiarò decaduto il potere temporale e proclamò, in febbraio, la Repubblica Romana. Il Papa rivolse allora un appello agli stati cattolici perché lo aiutassero a restaurare il proprio potere temporale. Risposero subito l’Austria, la Francia, la Spagna e il Regno delle Due Sicilie. A Roma accorse, a favore dell’altra fazione, Giuseppe Garibaldi cui fu affidato il comando dell’esercito volontario della Repubblica; la sua armata si trovò però presto a reggere uno scontro impari, dotata com’era di scarsi viveri e munizioni. In luglio fu sottoscritta la capitolazione, mentre Garibaldi abbandonava Roma per giungere a Venezia che ancora resisteva.
Qualche anno dopo nell’aprile 1859, l’esercito austriaco varcò il Ticino dando così inizio alla seconda guerra di indipendenza italiana. Quando arrivarono da quel fronte notizie delle significative vittorie ottenute dai piemontesi, grazie all’aiuto degli alleati francesi, si scatenarono gli entusiasmi delle popolazioni di ducati come Modena e Parma che insorsero cacciando i loro governanti. Anche Perugia insorse ma, il 20 giugno 1859, i mercenari svizzeri soffocarono nel sangue tale sommossa. In luglio Napoleone III firmò l’armistizio di Villafranca che concedeva una parte del Lombardo Veneto al re Vittorio Emanuele II.
L’anno dopo le truppe piemontesi comandate dai generali Fanti e Cialdini, nel settembre del 1860, liberarono l’Umbria e le Marche che venivano annesse allo Stato sabaudo per mezzo dei plebisciti. I nuovi governanti si preoccuparono di introdurre subito la legislazione che era vigente in Piemonte, cercando di smantellare i centri del potere clericale a suon di decreti.
All’indomani della liberazione fu istituita la Guardia nazionale e fu introdotta la coscrizione obbligatoria. Questa scelta provocò una dura reazione da parte della popolazione e soprattutto fra gli abitanti delle zone rurali si sviluppò in modo crescente il fenomeno della renitenza alla leva che facilitò moltissimo la proliferazione del brigantaggio.
E’ in questo clima di incertezza che Nazzareno muove i suoi passi nel mondo dell’illegalità spinto dal desiderio di uscire dalla povertà, stufo dei soprusi e delle disparità sociali. Nel corso della sua adolescenza sente sicuramente parlare di Stefano Pelloni, detto il Passatore, che compiva imprese audaci in Romagna facendo impazzire i gendarmi pontifici; probabilmente è proprio lui ad essere l’ispiratore delle sue azioni.
Nel 1854 si sposa con la bella Teresa Bucchi, ma già nel 1857 finisce in carcere ad Assisi per piccoli reati. Pochi mesi e riesce a fuggire con la connivenza di alcune guardie carcerarie. Le fonti sembrano concordare sul fatto che è nelle Marche, nel 1859, che si fa «le ossa» iniziando come comprimario e divenendo capo banda dopo aver ucciso il suo predecessore. Finisce di nuovo in carcere l’anno dopo, alcuni parlano di «soffiata». Del resto tra umbri e marchigiani non c’è stato mai buon sangue e non è strano immaginare che Nazzareno non sia visto di buon occhio neppure dai suoi scagnozzi. Il soggiorno nel carcere di Ancona è più lungo e duro di quello di qualche anno prima ad Assisi, ma a livello di lascivia e corruzione dei suoi carcerieri nulla li differenzia da quelli assisiati e, nel 1862, è già fuori e di nuovo operativo ad Assisi. E’ da qui in poi che nasce la vera e propria leggenda del brigante Cinicchia: il «Re della Montagna».
Seguono anni di furti, saccheggi, conflitti a fuoco con le forze dell’ordine e fughe nei suoi covi sparsi per tutto il Subasio. Le sue montagne sono per lui come Port Royal o Tortuga per i Bucanieri delle Americhe, o Sherwood per Robin di Locksley. Lì si sente invincibile e gode del pieno appoggio della povera gente che spesso e volentieri aiuta economicamente, occupandosi persino di difendere dai soprusi i più deboli. Non sappiamo se lo faccia per spirito di altruismo o per mero interesse ma il mito racconta di tanti episodi di generosità.
Riporto di seguito esempi che parlano di un brigante sì, ma con un animo buono:

… Cinicchia, mentre girava da solo per la campagna, vide un contadino che stava portando via il vomere di un aratro, che nel dialetto della zona si chiamava “gumèra”, lasciato in un campo da arare. Cinicchia chiamò a gran voce il contadino e gli domandò: – Ehi, tu, dove vai con quella gumèra?
– L’ ho trovata nel campo e ho pensato di portarmela via. Posso rivenderla e farci un po’ di denaro per dar da mangiare ai miei figli.
Allora Cinicchia gli puntò il dito contro e gli disse: – Non lo sai che quella gumèra potrebbe essere di un
altro contadino più povero di te? Avanti, rimettila al suo posto. Il denaro che avresti guadagnato rivendendola te lo darò io, e anche qualcosa in più.
E infatti, con gran gioia di quel poveretto, tirò fuori un sacchetto pieno di monete e glielo regalò. (Corelli, Walter (2002) La veridica e fantasiosa storia del brigante Cinicchia)

…Cinicchia passava davanti ad una casa, quando sentì un pianto sommesso. Girandosi, vide che a piangere era una vecchietta seduta davanti alla casa.
– Povera me, povera me! – si lamentava, come dicendo una litania, la vecchietta – Il brigante le si avvicinò e le chiese:
– Che c’e, nonnina? Perché ti disperi tanto?
– Perché non so più a che santo rivolgermi. – rispose singhiozzando la vecchia – Sono rimasta vedova, figli non ne ho, non ho più la forza di lavorare. Il padrone dice che vuole i soldi dell’affitto. Ma io dove vado a trovarli? Li vuole entro oggi. Se non glieli dò devo andare via di casa. Ma via di qui dove posso andare? Povera me!
Allora Cinicchia le rivelò chi era e le consegnò il denaro da dare al padrone raccomandandole, però, di farsi rilasciare una ricevuta. La vecchietta lo ringraziò tutta felice e gli assicurò che avrebbe fatto esattamente come le aveva detto. Il padrone, quando venne a riscuotere il denaro, si meravigliò non poco che la donna se lo fosse procurato, poi, contento di come era andata, non ebbe difficoltà a rilasciare la ricevuta richiesta. Sulla strada del ritorno, il padrone ebbe la brutta sorpresa di vedere sbucare da dietro un cumulo di terra nientemeno che il famigerato brigante Cinicchia, che si era nascosto lì subito dopo aver dato il denaro alla vecchia. Spianando il fucile, Cinicchia si fece consegnare tutto il denaro e poi minacciò il padrone: – Non tornare mai più a infastidire quella povera vecchia, se no dovrai vedertela con le canne di questa doppietta, intesi?
L’uomo giurò che non si sarebbe mai più fatto vedere da quelle parti e si ritenne felice di avere salvata la pelle. Così Cinicchia recuperò i suoi soldi e la vecchietta poté starsene in pace: tanto ormai aveva la ricevuta! (Corelli, Walter (2002) La veridica e fantasiosa storia del brigante Cinicchia)

Gli episodi del suo mito si sono tramandati di generazione in generazione e sono di sicuro infarciti con elementi di fantasia, la sua immagine risulti amplificata ed idealizzata e anche questo fa parte del mito. Qualcuno riesce addirittura a darcene una descrizione con i suoi tipici abiti da «lavoro» mentre si atteggia da capo davanti ai suoi scheggi:

Quando ritornava tra gli uomini della sua banda, si vestiva di nero ed aveva il panciotto attraversato da una catena d’oro con un cappello dalle falde larghe ed una sciarpa di lana rossa, ed assumeva un atteggiamento serio, cupo con due occhi scuri dallo sguardo ipnotico.
Il tono della sua voce era basso e minaccioso, quando alla testa dei suoi uomini compariva improvvisamente in mezzo alla strada intimando l’alt… (Rossi, Cleo (1989) Cinicchia e… la sua leggenda)

E’ famigerata anche la sua bravura nei travestimenti e la continua voglia di sfidare e sbeffeggiare le forze dell’ordine. Si narra di un episodio in cui si traveste da anziano e si fa scortare dai carabinieri fino a quella che dice sia la sua abitazione per poi lasciare loro un biglietto di ringraziamento in cui si firma proprio: Nazzareno Guglielmi; o di quando entra vestito da signore in una taverna di Assisi e paga da bere alle guardie. Loro allora chiedono alla locandiera chi sia quell’illustre gentiluomo, e si sentono rispondere “…ma, veramente non lo conoscete? E’ Cinicchia il signore della montagna di Assisi!”. A queste parole si girano repentinamente nella direzione dell’uomo ma ormai è tardi e di lui non c’è più traccia.
Ora veniamo al piatto forte, il colpo grosso! Nazzareno scorrazza indisturbato tra Assisi e Gubbio ma, per incoronare la sua carriera, gli manca un furto che tutti possano ricordare e che lo possa mettere a posto per sempre. L’occasione arriva la mattina del 25 ottobre 1864. Lungo la via tra Foligno e Nocera sta viaggiando il cassiere della Società York, appaltatrice del tratto ferroviario Foligno-Ancona, con la cassa della Società contenente oltre centocinquantamila lire in oro. Vediamo come racconta questo episodio la cronaca del tempo:

Nocera, 25 ottobre 1864
Veniva questa mane da Foligno per Nocera la cassa dell’impresa York portante la somma di sopra franchi duecentomila, condotta dal cassiere Squanquerillo con un suo uomo, e scortata da sei lancieri a cavallo. Quando e giunta verso le otto alla distanza di un miglio dal borgo di Valtopina, e di sei miglia circa da questa città, è stata assalita da dieci malandrini, che postisi al di sopra di un dirupo della strada tra certi macigni, hanno fatto fuoco contro i lancieri, i quali dicesi che abbiano corrisposto soltanto con due fucilate non avendo altre cariche; e credesi che in quel trambusto uno di essi sia rimasto ferito in un ginocchio ed il suo cavallo nella pancia. I condottieri di quel convoglio si sono stupidamente fermati. Dopo pochi minuti di sosta, un barbuto fra gli assassini è disceso, e mentre gli altri suoi compagni minacciavano dai loro posti esplosioni, e gridavano che nessuno si avvicinasse o facesse resistenza, egli si è tranquillamente incollata quella cassa di ferro.
Appena eseguita tale operazione, hanno preso le montagne. A poca distanza, avendo alcuni seguito le loro tracce, si è trovata detta cassa spezzata e da quei malandrini forse lasciata per non avere impaccio. Un lanciere a cavallo ha portato tale notizia a questi rappresentanti dell’impresa.
Divulgatosi un tal fatto pel paese, questa Guardia nazionale sciolta ed inerme, ha invano risentito quel fremito, che in simili casi la spirava e trasportava ovunque per servire la legge e l’ordine pubblico. Poco dopo sono partiti tre o quattro reali carabinieri coll’ufficiale di Pubblica sicurezza alla volta di coloro che certamente ora vanno superbi e gavazzano nell’ottenuto bottino. (Corriere dell’Umbria – 27 ottobre 1864)

“…hanno preso le montagne.” ? Ma quali montagne e per dove? A questa domanda non potevo non trovare una risposta. Naturalmente è la più ovvia possibile: la montagna è il Monte Subasio e la cittadina è Armenzano.

Nei pressi di Armenzano, un piccolo paese dalla caratteristica pianta rotonda posto a poche miglia da Assisi, alcuni uomini dall’aspetto poco rassicurante stavano finendo di seppellire in modo sommario un loro compagno. Uno di essi, avvolto in un nero mantello, si tolse il cappellaccio che teneva calcato sulla testa e recitò ad alta voce: — Signore Gesù Cristo, abbi pietà dei suoi peccati. Egli si e meritato l’inferno, ma voglia la tua infinita bontà concedergli almeno il purgatorio… (Corelli, Walter (2002) La veridica e fantasiosa storia del brigante Cinicchia)

Ecco quello che cercavo! Cinicchia si rifugia ad Armenzano, vi seppellisce il suo compagno che è morto prima di raggiungere il paesino. Lì ci sono molti pastori e forse un «dottore delle bestie» lo avrebbe potuto curare, ma la ferita era troppo grave. Lì avviene la spartizione del bottino o il suo occultamente e lì si decide che, dopo questo colpo gobbo, la soluzione migliore è dividersi per un po’. Hanno colpito molto in alto e presto si scatenerà il putiferio. Ben presto, infatti, i più imprudenti della banda vengono catturati e incarcerati mentre l’esperto e furbo Cinicchia resta coperto.
Quello è l’ultimo vero colpo del nostro Nazzareno, dopodiché il suo destino si perde nel mito e tuttora si fantastica sulla sua fine. Lo uccide uno dei suo avversari? Si rifugia sotto falso nome nei pressi del Lago Trasimeno che proprio in quel periodo sta per essere bonificato? Non si muove mai da Assisi? Fugge in Argentina nascosto dentro una botte? L’ultima sembra la più plausibile delle alternative e c’è anche chi ha trovato il suo certificato di morte datata 12 gennaio 1906 a Buenos Aires.
Cercavo un tesoro e ho trovato il mio tesoro! Il colpo era importante e le forze dell’ordine erano in fermento, chissà se il bottino o almeno una parte di esso è rimasto lì dove era stato spartito, nella attesa che si fossero calmate le acque? Magari tenuto in consegna da qualcuno di fiducia. La banda venne poi sgominata e i banditi vennero presi o fuggirono lontano, se il malloppo fosse rimasto lì poi nessuno lo avrebbe potuto più reclamare! Magari fu sepolto? Un contadino nel lavori dei campi potrebbe aver trovato una bella sorpresa. E se invece aspettasse ancora di essere trovato?
E’ bello fantasticare e non costa niente, del resto prima della strana domanda dell’anziana turista non avrei neanche potuto immaginare tutta questa storia. Se venite da noi, quando uscite di casa guardatevi intorno, magari sarete proprio voi a trovare quel tesoro. Io intanto sto ancora cercando il mio di «tesoro», magari è l’anello del potere come per gli hobbit della Città di Mezzo, o qualcosa di più intangibile. Non so.
Soprattutto al giorno di oggi, infatti, dare un significato alla parola «tesoro» non è facile. Tutti noi siamo continuamente alla ricerca di un obbiettivo per poi accorgerci che non era quello che desideravamo. Mi sembra adatta all’occasione una riflessione letta da poco:

Un benessere largamente diffuso, una larga disposizione di beni e di servizi, non sembra essere stati accompagnati da una consapevole, generale soddisfazione.
Diventa quindi vero che ci siamo tanto preoccupati di dare ai nostri figli quello che noi non avevamo avuto, e allo stesso tempo abbiamo tralasciato di dare loro quello che invece avevamo. (Piccolo, Cosimo (2007) La magia dell’aia: scene di vita contadina)

Come nei bei film di pirati, il «tesoro» è qualcosa di importante che qualcuno ha sepolto in un luogo sicuro per nasconderlo, proteggerlo e ritornarne in possesso al momento giusto. Poi, nella maggior parte delle sceneggiature ben riuscite, se ne perde il ricordo per anni e solo per combinazioni fortuite qualcun altro torna a cercarlo. Mi piace pensare che la stessa cosa è successa anche a me e, da novello Indiana Jones, di colpo e quasi per caso mi sono buttato a corpo morto nella ricerca di qualcosa di perso nella polvere e nell’oblio dei ricordi: la storia, le tradizioni, le leggende legate a questo sparuto gruppetto di case vicino ad Assisi, con la speranza che il detto: “per comprendere il futuro bisogna conoscere il passato” fosse vero.
Devo dire che mi è servito, e a alla fine qualcosa ho capito. Ognuno può pensarla come crede, può coltivare obbiettivi importanti e avere per se e per i propri discendenti ideali di vita più o meno agiata. Ai miei figli io insegnerò che a volte le cose più semplici sono belle quanto e più delle altre.
Un esempio? Dimenticarsi le chiavi di casa sulla porta senza aver timore che qualcuno ne approfitti per me vale un tesoro!

Riguardo l'autore

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Ingegnere impegnato da anni nel campo dell’automazione industriale. Ama il suo lavoro ma al contempo è affascinato anche da: storia, tradizione e misteri della sua terra, l’Umbria. Collabora con alcune riviste e quotidiani e ha la profonda convinzione che il migliore investimento per il futuro sia la cultura, settore in cui l’Italia, per quanti sforzi possa fare, non sarà mai seconda a nessuno.

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