La medicina casalinga agli inizi del Novecento

Categorie: Armenzano

Cure malattie - antichi rimedi naturali Assisi

Credenze di medicina popolare umbra…manuale dei rimedi della nonna rigorosamente da evitare.

Fino alla metà del XX secolo il dottore era un lusso che non tutti si potevano permettere. In tanti piccoli borghi delle colline umbre, poi, la scarsità di mezzi di trasporto, l’assenza di strade di collegamento o la bassa manutenzione delle poche presenti rendevano lungo e difficoltoso il trasferimento dei malati presso gli ospedali dei grandi centri. Non aver a disposizione medici specializzati, però, non demoralizzava per nulla i coriacei “montanari”, che, all’occorrenza, non esitavano ad agire con tempestività per tentare di curare un concittadino o familiare malato.

A tale riguardo, alcuni libri, tra cui: “Per ville e castelli di Assisi”, Vittorio Falcinelli; “Le tradizioni popolari…nella frazione di Armenzano”, Maria Pia Gubbini; “La magia dell’aia – scene di vita contadina”, Cosimo Piccolo, raccolgono interessanti interviste che inquadrano in maniera sublime l’inizio Novecento vissuto da popolani e contadini del Monte Subasio.

Le malattie comuni nella zona erano principalmente associate alle disagiate condizioni di vita, di alimentazione e di lavoro di quel periodo storico: colite, artrite, pleurite, polmonite, parotite, rosolia, tonsillite, esaurimento nervoso. Patologie più tristemente comuni oggi come il tumore o l’arterio-sclerosi erano, invece, assai più rare. I farmaci erano composti da ingredienti familiari alla vita del contadino e, quindi, facilmente reperibili come: mele cotte, bucce di arancia, salvia, lino, semola, senape, gramigna, fave, olio, farina, rosmarino, marrubio, vino, liquore, aceto, uova, cera d’api, cavolo, patate, zucchero, camomilla, alcool, sambuco, basilico, foglie di rovo, malva, granoturco, muragliola, ruta, garofano e orzo. Come precedentemente detto, il rimedio casalingo tentava di curare la malattia ma, non di rado, era preferibile evitare di dirsi malato per non incorrere nelle “amorose” cure degli improvvisati medici. Provare per credere:

Avete l’otite? Ve la caverete facendo impacchi con stoffa di lana applicata su un coperchio di terracotta infuocato, mi raccomando aggiungete latte di madre che allatta un bambino maschio.

Medicina popolare, cure malattie novecento - Subasio Assisi

Vi è venuta la polmonite? Mi ero raccomandato di mettere la maglia di lana! Adesso vi tocca andare in farmacia e acquistare una confezione di mignatte (sanguisughe)! Le dovete collocare attentamente in corrispondenza della parte bassa del polmone malato. Una volta atteso il completamento della terapia, staccatele dalla zona interessata, avendo cura di fare impacchi con panno bagnato in acqua calda per far riprendere a fluire liberamente il sangue. Ricordate di purificare le mignatte dal plasma succhiato mettendole tra la cenere fredda e poi in un vaso con acqua chiara per completare il processo, così da poterle riutilizzare la prossima volta. Non avete trovato mignatte a buon mercato? Il coperchio in terracotta infuocato usato per l’otite può essere un buon surrogato.

Avete un po’ di febbre? Ecco un ottimo rimedio: spaccate un piccione vivo ed applicatene le due parti sulle piante dei piedi, quindi, fasciate il tutto e mantenete per un giorno circa; quando il piccione avrà assorbito la febbre, sarete guariti. Non vi piace la soluzione? Al posto del volatile utilizzate lumache acciaccate.

Piccione - cure malattie credenze popolari

Se per gli adulti le cure sembrano strane, figuriamoci cosa succedeva a bimbi, soprattutto quelli che non potevano ancora parlare per comunicare i propri sintomi. I neonati, senza i vaccini moderni e con una scarsa alimentazione, erano soggetti come e più degli adulti a disfunzione serie. Ad esempio, malattie come le fantignole, che nel dialetto popolare sembra corrispondessero alla poliomielite, erano temutissime perché uccidevano o nei casi meno gravi lasciavano i bambini deformi per tutta la vita. Questa patologia spaventava tanto che la si diagnostica al primo insorgere di convulsioni, anche se non sempre si trattava proprio di poliomielite, e si correva immediatamente ai ripari. Anche stavolta ho sostenuto che si correva ai ripari, non che si riusciva a risolvere il problema. Le cure di medicina popolare, infatti, lasciano meravigliati: era largamente diffuso il metodo di colare sulla nuca del bimbo malato tre gocce di cera di una candela della Candelora. Tale operazione era spesso compiuta su tutti i bambini alla nascita, per prevenire l’insorgere delle fantignole prima che si manifestassero. In alternativa si potevano usare due chiavi, l’una maschio (a punta piena), l’altra femmina (a punta cava), ponendole incrociate e roventi sulla nuca del bambino colpito, producendogli una profonda bruciatura.

Se, durante i primi mesi di vita, il neonato deperiva invece di aumentare di peso, piangeva continuamente e perdeva vivacità, invece di attribuire le cause alla scarsa alimentazione, si credeva che in fondo alla schiena, in corrispondenza dell’osso sacro, si fosse annidata una biforcola (al secolo forficula auricularia). Secondo la credenza popolare l’insetto, tramite i due cerchi ricurvi all’estremità addominale, succhiava il sangue al bimbo e ne impediva perciò la crescita. Per espellere l’intruso dal corpo si facevano friggere in olio d’oliva, secondo le varianti, tre, cinque, sette biforcole. La persona che doveva compiere l’operazione, di solito una “strolica”, intingeva nell’olio della frittura l’indice e il medio della mano destra; con le due dita, formando una sorta di V rovesciata, ungeva il sederino del bambino dall’alto in basso come per indicare all’animale la via d’uscita. Naturalmente per una buona efficacia, e immaginiamo anche per aumentare i proventi dell’infermiera “specializzata”, l’operazione doveva essere ripetuta per sette o nove giorni consecutivi.

Biforcola - forficula auricularia

Per curare la bronchite, si massaggiava la schiena del bambino con un panno di lana imbevuto di panna di latte di pecora, ma si poteva usare anche l’olio ferrato, prodotto non difficile da fare ma utile poi per varie patologie. Per preparare l’olio, si poneva sui carboni ardenti un pezzo di ferro e vi si lasciava finché non diventava incandescente; quindi lo s’immergeva immediatamente in un recipiente pieno d’olio. Alcuni preferivano invertire il procedimento facendo bollire l’olio e poi immergendo l’asta di metallo, non è dato sapere quale dei due metodi fosse il migliore. Immaginate poi che, per neutralizzare il pericolo di ipotetici vermi che assalivano il neonato alla gola provocandone il soffocamento, si faceva ingerire al bimbo una cucchiaiata di petrolio o gli si faceva annusare dell’aglio.

Ciò che ho scritto fa capire chiaramente il livello di indigenza che le zone montane del Subasio vivevano in quell’epoca. Per quando vi lamenterete di nuovo della sanità, accenno che l’isolamento spingeva spesso ad incaricare una persona locale al primo soccorso dei malati, ma sovente “il medico” era il medesimo che curava le bestie. Non di rado anche i rimedi per guarire animali e uomini erano i medesimi.

Oggi con il progresso queste usanze di medicina popolare ci sembrano assurde, come strane e anacronistiche sono alcune delle malattie più comuni che affliggevano i nostri nonni: schiettezza, generosità e altruismo. Altri tempi…

pubblicato su: Terrenostre (Ottobre 2014)

Riguardo l'autore

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Ingegnere impegnato da anni nel campo dell’automazione industriale. Ama il suo lavoro ma al contempo è affascinato anche da: storia, tradizione e misteri della sua terra, l’Umbria. Collabora con alcune riviste e quotidiani e ha la profonda convinzione che il migliore investimento per il futuro sia la cultura, settore in cui l’Italia, per quanti sforzi possa fare, non sarà mai seconda a nessuno.

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