Torna alla ribalta la fusione fredda

Categorie: Tecnologia

L’economia moderna, per la produzione di energia, fonda le proprie basi sull’impiego di combustibili fossili come gas e petrolio.

Andrea Rossi e il suo Energy CatalyzerQuesti carburanti, pur essendo fonti non rinnovabili, sono per noi così basilari che, il pensare si possano esaurire in tempi inferiori alla nostra aspettativa di vita, scatena la preoccupazione o addirittura il terrore. Più volte si è spostata in avanti la data del presumibile esaurimento dei giacimenti di petrolio ed oggi si ipotizza ne restino scorte solo per 150 anni.
Altro discorso correlato all’utilizzo di questi materiali è quello riguardante il surriscaldamento dell’atmosfera per via dell’immissione nella stessa di «gas serra» dovuti alla combustione. L’aumento della concentrazione di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera e il riscaldamento progressivo del pianeta, a detta dell’unanimità dei climatologi, sono correlati. Ci sono poi i problemi alla salute causati dall’inquinamento da polveri sottili dell’aria che respiriamo. Non è trascurabile, in ultimo, l’incidenza economica della situazione politica dei paesi produttori di petrolio e gas, che causano spesso brusche impennate del prezzo delle materie prime; se la crisi economica che viviamo ora è in buona parte causata delle speculazioni, il costo dell’energia ne è implicitamente una concausa.

E’ indispensabile fronteggiare tutte queste difficoltà ricorrendo alle fonti rinnovabili, allo scopo sia di riparare alla possibilità che i carburanti fossili finiscano, sia per trovare soluzioni all’inquinamento e al surriscaldamento del pianeta.
A questo riguardo, dal palco della conferenza “Energy Change with E-Cat Technology” tenutasi l’8 e il 9 settembre 2012 al Technopark di Zurigo, il Sig. Rossi ha presentato al mondo il suo Energy-Catalyzer, un generatore di energia che, se mantenesse le promesse, potrebbe essere un’invenzione d’importanza paragonabile alla ruota o alla scoperta del fuoco.
Oltre al cognome, l’ing. Andrea Rossi non sembra avere nient’altro di ordinario e propone un dispositivo in grado di produrre energia grazie a quella che viene impropriamente chiamata “Fusione fredda”, oggi nota con il termine tecnico Low Energy Nuclear Reactions o L.E.N.R. Udite! Udite! A fronte di un investimento di un migliaio di dollari potremo in un futuro prossimo riscaldare la nostra casa con meno di 20 dollari l’anno! Il dispositivo sarà più piccolo di uno scaldabagno, non produrrà gas inquinanti e non emetterà radiazioni nocive all’esterno  Saremmo di fronte ad un vero e proprio miracolo. E’ lecito, in primo approccio, dubitare di una dichiarazione così impegnativa: è tutto vero o siamo di fronte ad una chimera?
Riguardo all’argomento sono già state prodotte centinaia di dichiarazioni tra cui quella del Premio Nobel per la Fisica Brian Josephson: “Ad oggi, non vi è alcuna base per dubitare delle affermazioni di Rossi”, del Chief Scientist della NASA Dennis Bushnell: “Potrebbe cambiare completamente la geoeconomia, geopolitica e risolvere i problemi del clima e dell’energia”, e del vicepresidente della Società Internazionale di Scienze Nucleari della Materia Condensata Francesco Celani: “Ci deve essere qualche errore nascosto da qualche parte, oppure è una scoperta, bellissima per il pianeta Gaia”.
L’avventura di Rossi, insieme al suo stretto collaboratore, il fisico Sergio Focardi, iniziò nel gennaio 2011 con la dimostrazione pubblica del funzionamento della loro invenzione presso l’Università di Bologna, ma la storia della “Fusione fredda” partì ben venti anni prima. I processi di fusione e di fissione atomica sono, da tempo, conosciuti e sfruttati per produrre energia. Per far avvenire tali processi, è necessario che i nuclei dei materiali si trovino ad altissime temperature e pressioni, limitando di parecchio il rendimento energetico e introducendo, come il disastro di Fukushima ci ha insegnato, inevitabili problemi di sicurezza. Per questo gli scienziati ambiscono da tempo a realizzare la cosiddetta “Fusione fredda”, cioè la fusione dei nuclei atomici a condizioni meno drastiche, con l’impiego di risorse energetiche trascurabili. Data la natura del fenomeno, per riuscire a fondere due nuclei occorre superare sia la repulsione elettrostatica, data dalla carica positiva dei protoni che li costituiscono, sia la barriera dovuta alle forze, di entità enorme e di natura non è ancora del tutto chiarita, che tengono insieme gli elementi del nucleo.

Fleischmann e Pons gli inventori della fusione fredda

In quel lontano mese di Marzo 1989 i giornali titolarono: “L’energia del sole è stata ‘racchiusa’ in una provetta e la produzione di energia illimitata e a basso costo è alle porte”. Gli autori della scoperta, due scienziati di rinomata fama: Martin Fleischmann, elettrochimico britannico di stimata esperienza, ed il suo collega Stanley Pons. Fleischmann e Pons, annunciarono di aver rilevato la produzione in eccesso di energia in una presunta reazione di “fusione” che avveniva in un contenitore di materiale isolante di loro creazione. Questa “Cella Elettrolitica Asciutta” era dotata di un elettrodo di palladio, il catodo, collegato al polo negativo di un alimentatore a corrente continua, ed un secondo, l’anodo, collegato al polo positivo dello stesso alimentatore; il contenitore era riempito di deuterio, un isotopo stabile dell’idrogeno il cui nucleo contiene un protone e un neutrone. Grazie alle particolari capacità del palladio di “assorbire come una spugna” (catalizzare) il deuterio, gli atomi del materiale erano costretti ad una vicinanza talmente estrema da annullare la naturale reciproca repulsione tra di essi, consentendo la fusione di due atomi di deuterio a formarne uno di elio. Questa reazione produceva un eccesso di energia, sotto forma di flusso di neutroni. La bontà della strada percorsa da Fleischmann e Pons fu confermata anche da un altro scienziato, il fisico Steven Jones, che, con ricerche indipendenti da quelle dei suoi colleghi, annunciò di aver ottenuto una reazione nucleare di fusione a bassa temperatura.
Sembrò la svolta decisiva verso il definitivo abbandono dei combustibili fossili, poi però, le continue bordate dei detrattori, la bassa ripetibilità dei test, la complessità della teoria in gioco e la scarsità di fondi interruppero anzitempo gli esperimenti.
Nessuno parlò più seriamente dell’argomento fino al 14 gennaio 2011 quando, presso l’Università di Bologna, con dell’attrezzatura apparentemente rudimentale, di fronte a scienziati e giornalisti, Andrea Rossi e Sergio Focardi eseguirono un esperimento di “Fusione fredda” nichel-idrogeno producendo 12 kW/h a fronte di un impiego energetico 400 W/h. L’esperimento fu replicato nell’ottobre dello stesso anno con risultati addirittura migliori e la notizia fu presa d’assalto dai mezzi di comunicazione. Furono gli stessi inventori, però, ad ammettere candidamente che dietro al processo non c’è una base teorica: “Per quale motivo avvengono questi risultati lo abbiamo solo ipotizzato”, sostenne Rossi e “Non so come un protone di idrogeno possa entrare nel nucleo di nichel, ma avviene. Ed è la strada dell’energia per l’umanità”, replicò Focardi. Si trattò in sostanza per loro, quindi, di un lavoro di “ingegneria inversa” che partendo da ciò che accadeva nel reattore, puntava a verifica la teoria alla base di tali fenomeni o ambiva a porne le basi per una nuova.

Ecat - Andrea Rossi al primo esperimento pubblico all'Università di Bologna

La riservatezza e il mistero che avvolsero da subito gli esperimenti di Rossi-Focardi, destarono immediatamente grossa curiosità tra gli addetti ai lavori che, con le poche informazioni trapelate durante le uscite pubbliche, in questi due anni hanno tentato uno speculativo e non privo di congetture “reverse engineering” sul funzionamento dell’Energy Catalyzer. Tra i modelli più attendibili sono da annoverare quelli proposto dall’Ingegner Giacomo Guidi dell’azienda Phizero, che ce ne espone addirittura quattro varianti. Si parte dall’assunto che all’interno della camera di combustione dell’E-Cat avvenga, coadiuvata da un non ben determinato catalizzatore, una reazione tra nickel granulare nanometrico (ovvero da 1000 fino a 100 mila volte più sottile di un capello umano) e idrogeno gassoso, in grado di liberare un’impressionante quantità di energia. Il cuore del reattore in cui avviene la “fusione”, come dichiarato dall’inventore  è un contenitore di acciaio inox in cui, tramite due ingressi distinti, sono introdotti il nichel e la miscela satura di molecole biatomiche di idrogeno ad una pressione di 20/30 bar. L’insieme Ni-H è riscaldato per mezzo di una prima termoresistenza interna, denominata “di controllo”, e una seconda esterna di dimensioni più corpose, detta di “pre-riscaldamento”. La presenza di una coppia di resistenze, possibilmente indipendenti dal processo in atto, contribuirebbe l’innesco della reazione e la aiuterebbe a rimanere stabile, attenuando le oscillazioni indotte dal reattore stesso. In un tubo sagomato in rame, scorre poi, grazie a una pompa, separatamente da idrogeno e nickel, l’acqua a cui cedere il calore accumulato. E’ difficile ipotizzare la temperatura raggiunta nel core del dispositivo. È probabile che possa raggiungere i 500°C, arrivando così all’intervallo di valori in cui diversi metalli a caricamento gassoso hanno sviluppato, nelle passate ricerche scientifiche, effetti anomali. E’ emerso però, grazie alle dichiarazioni di Focardi, che la reazione partirebbe già ai 60°, diversamente dagli esperimenti simili in cui le temperature d’innesco superavano 400°C. Nel dispositivo in esame l’idrogeno passa da stato molecolare (H2) a ione H+ (protone), per poi penetrare all’interno dei grani di Nickel. Questa scissione richiede energia e va in qualche modo “aiutata” tramite un catalizzatore.

I materiali adatti allo scopo possono essere: il palladio, già usato negli esperimenti di Fleischmann/Pons e noto per caricarsi di idrogeno e favorirne la scissione; o il platino, usato anche nelle celle a combustibile come strato d’interfaccia fra l’idrogeno e la membrana PEM (Proton Exchange Membrane). Il platino dissocia le molecole di H2 e favorisce la penetrazione nella PEM. Il catalizzatore però potrebbe essere anche un metallo meno nobile come il ferro, presente al 10% nel residuo delle polveri usate come “combustibile” per il reattore, analizzate da un laboratorio svedese dopo un test. In ogni caso l’energia termica è generata dal riscaldamento dei micro-grani di Nickel per effetti dell’assorbimento dei protoni di idrogeno.

Ecat Andrea Rossi - ipotesi di funzionamento

Ora nascono le prime domande: la polvere di nickel è introdotta dallo stesso tubo in cui viene inserito l’idrogeno e quindi l’H2 è direttamente in contatto con il Ni e con il catalizzatore (Fig.1)? Il catalizzatore Platino/Palladio/Ferro è diffuso in piccoli grani nella miscela o è stratificato sulle pareti del reattore? In questo caso specifico avrebbe, però, effetto solo sul Nickel a diretto contatto con la camera. L’idrogeno e il nickel non sono miscelati tra loro ma si trovano separati da layer metallico di catalizzazione con un principio identico alle PEM delle celle a combustibile? Non ci sarebbe, in questo caso, nessun mix di polveri, ma solo un sistema che favorisce la migrazione/penetrazione dei protoni (Fig.2)? Se fosse così, però, solo la parte di nickel a contatto con la membrana reagirebbe. E’ quindi possibile che la membrana sia costruita in modo da massimizzare il contatto catalizzatore-nickel e non funga da separatore di camera, ma sia semplicemente immersa in un’atmosfera satura di idrogeno (Fig.3)? Oppure la camera di reazione è di dimensioni ridotte rispetto al tubo d’ingresso e lo spazio restante è riempito da uno spesso strato di piombo, utile sia per la messa in sicurezza del reattore stesso, sia come mezzo di raccolta dei gamma a bassa energia che la reazione potrebbe generare?

Poi Rossi, durante la conferenza di Zurigo, sembra tornare a destabilizzare tutti, annunciando: “Quello che credevamo fosse il cuore del funzionamento dei nostri impianti, e cioè la trasmutazione del nichel in rame, in realtà è un effetto collaterale, che deriva dall’energia sviluppata dalla produzione di gamma a bassa energia”. Che sia l’ennesimo depistaggio? Potrebbe essere che il reattore di E-Cat funzioni con lo stesso principio della “Cella Elettrolitica Asciutta” di Fleischmann/Pons con l’idrogeno al posto del deuterio e uno dei due “elettrodi” costituito dal nichel in granuli? Naturalmente e solo l’ennesima ipotesi.

In questi due anni non sono mancati sicuramente i detrattori di E-Cat che accusano Rossi: di compiere esperimenti con scarsa riproducibilità e quindi, per loro stessa natura, non scientifici; che la mancata produzione di raggi gamma nei test confuterebbe l’ipotesi si tratti di processo nucleare, “declassandolo” a semplice reazione chimica; che E-Cat produce raggi gamma estremamente pericolosi per la salute rendendo l’apparecchio incompatibile all’uso domestico; di un inspiegabile silenzio intorno al misterioso catalizzatore; di scarsa professionalità; del fatto che il flusso di particelle derivante dalla reazione in gioco non potrebbe in alcun modo essere schermato dal sottile strato di piombo previsto per il macchinario; di rivolgersi essenzialmente a privati e non coinvolgere abbastanza le università e la comunità scientifica; che non ci sia necessità per investire ingenti quantità di denaro pubblico sulla ricerca per una “scienza non dimostrata”; di trincerarsi dietro il segreto industriale e la proprietà intellettuale, vincolando i suoi collaboratori ad “accordi di non divulgazione”, con la scusa di un brevetto ancora in discussione; di produrre teorie in contrasto alle leggi della fisica tradizionale, contestandogli la reale efficienza delle apparecchiature; di fare dichiarazioni attraverso un blog (Journal of Nuclear Physics) e di non utilizzare i canali convenzionali; di proporre una misteriosa “Pietra Filosofale” in stile alchimia medievale capace di produrre solo illusioni; di procedere inspiegabilmente alla realizzazione delle linee produttive prima ancora di aver completato le opportune certificazioni; che E-Cat mostra instabilità rendeva impossibile un suo efficiente impiego per la produzione di energia; di comportamenti non proprio limpidi, quando non palesemente contraddittori; della mancanza di una conferma del funzionamento di E-Cat fatta di terze parti; dell’assenza di una valida spiegazione teorica al processo in gioco; di non avere, dal punto di vista pratico, le dovute certificazioni per la commercializzazione; che, a causa della presenza di un componente tossico come il nichel, il cambio della cartuccia dovrà essere effettuato da un tecnico, con un probabile incremento dei costi di funzionamento; ed, in ultimo, Rossi ha persino subito una denuncia per produzione di dispositivi a rischio radiazioni senza licenza.

L’imprenditore italiano, nonostante tutto, non si è mai fermato e, per portare avanti le sue teorie, dopo l’interruzione dei rapporti di collaborazione con l’Università di Bologna, è emigrato negli Stati Uniti, dove sembra aver messo in piedi uno stabilimento per la produzione in serie dei suoi prodotti con una catena di montaggio robotizzata.

Ecat Andrea Rossi - modello uso industriale

Oltre ai tanti detrattori, in questi due anni di cammino, molti altri concorrenti si sono uniti a Rossi verso la possibile scoperta del millennio, tra i quali: gli ex alleati della Defkalion Green Technologies con il loro Hyperion, una macchina di dimensioni 55x48x35 cm che produce calore con lo stesso principio di funzionamento di E-Cat; Mitchell Swartz con Nanor, l’apparecchiatura in grado di produrre calore facendo passare una corrente elettrica attraverso una struttura costituita da palladio, tale dispositivo è stato prodotto presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology; la Nasa che finanzia la teoria di Widom-Larsen basata sulle forze di interazione debole; il ricercatore di Siena Francesco Piantelli, che ha già un brevetto su una metodologia utile alla produzione di energia mediante fusione fredda; il Prof. Alberto Carpinteri con la sua reazione piezonucleare; Francesco Celani, spettatore d’eccezione al primo esperimento di Rossi, e che ora collabora con il National Instruments alla realizzazione di un sistema nickel-idrogeno simile a E-Cat; George H. Miley, ricercatore da tempo impegnato nel campo delle LENR, che ha ottenuto di recente il primo brevetto USA per un’apparecchiatura basata sulla fusione fredda, con cellule-reattori composte di strati super-sottili di palladio e nichel sopra un substrato metallico immersa in una soluzione di acqua contenente deuterio. In rete è possibile trovare, addirittura, un metodo per costruire un dispositivo per la “fusione fredda” direttamente a casa, la così detta “Formula Chan”.

Durante la presentazione di Zurigo è uscita allo scoperto anche l’azienda licenziataria di E-Cat per l’Italia, la Prometeon s.r.l., che ha già distribuito la sua brochure illustrativa dell’offerta italiana, dalla quale si evincono il numero e lo status dei prodotti, ma se ne estrapola addirittura il prezzo e i presumibili tempi di rientro dall’investimento effettuato per l’acquisto. Come già anticipato da Rossi i primi modelli in commercio saranno quelli per impiego industriale: E-Cat termico ad alimentazione elettrica, un generatore piazzato in un container e capace di produrre 1 MW di calore per sei mesi con appena 10 Kg di nichel e 18 di idrogeno; E-Cat termico alimentato a gas (Gas Cat) dal taglio minimo 1 MW; E-Cat elettrico stand-alone da 10 MW che, nell’intenzione dell’azienda, potrebbe essere utile ad alimentare le future installazioni militari e, infine, il progetto più ambizioso, l’E-Cat cogenerazione termico-elettrica (Hot Cat), un generatore di calore in grado di raggiungere i 1000°C, con una metodologia di produzione di elettricità senza l’utilizzo di alcun convertitore meccanico. E’ proprio per quest’ultimo prodotto che è trapelata una possibile collaborazione, subito smentita, con il colosso Siemens AG, che naturalmente non rilascia dichiarazioni in merito. Ecco all’orizzonte la messa a punto di centrali elettriche basate su E-Cat, capaci di sfruttare come carburante solo un minimo apporto di nichel, idrogeno e del misterioso catalizzatore, tutto sulla carta e quindi assolutamente da verificare.

Per la versione domestica ancora solo annunci: costerà circa 1000-2000 dollari, in funzione delle prescrizioni che imporrà l’ente “certificatore”. Dovrebbe avere dimensioni variabili da 12 a 6 pollici e avrà un sistema di regolazione interno, una sorta di termostato, che gli consentirà di rilevare la temperatura e di regolare in tal modo il flusso di carburante necessario. Naturalmente immaginiamo che, una volta ottenuta un’apparecchiatura funzionante, a causa delle imposizioni sulla sicurezza, il dispositivo domestico sarà probabilmente l’ultimo modello ad essere commercializzati. Proprio in virtù della sicurezza, nei modelli prodotti, sottolinea lo stesso Rossi, il Cop, cioè il rapporto tra l’energia in uscita e quella in ingresso, è stato ridotto volutamente a 6, rispetto alle punte di 200 raggiunte da E-Cat nei test di laboratorio.

Su prodotto “domestico”, l’E-Cat Australia, licenziataria dell’invenzione per l’Oceania, sembra dimostrare più ottimismo di tutti gli altri distributori, ipotizzando la commercializzazione per metà 2013, pubblicando uno spot televisivo che invita gli acquirenti con lo slogan: “Oggi l’energia di domani”. Ci aspetta quindi un futuro da fantascienza in cui non servirà più il petrolio e l’inquinamento sarà solo un ricordo? Solo pensarlo fa star meglio! Per il momento ci conviene aspettare ancora un po’ leggendo Jules Verne e Isaac Asimov o vedendo i film di George Lucas. Chissà, a breve avremo, forse, uno “scaldabagno” in più dentro casa e, come è successo per il computer e per il telefonino, tra qualche anno ci sembrerà addirittura normale!

pubblicato su: Ingegnere umbro (Dicembre 2012)

Riguardo l'autore

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Ingegnere impegnato da anni nel campo dell’automazione industriale. Ama il suo lavoro ma al contempo è affascinato anche da: storia, tradizione e misteri della sua terra, l’Umbria. Collabora con alcune riviste e quotidiani e ha la profonda convinzione che il migliore investimento per il futuro sia la cultura, settore in cui l’Italia, per quanti sforzi possa fare, non sarà mai seconda a nessuno.

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